La Lista Dei Profili Psicologici

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La Lista Dei Profili Psicologici
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La
Lista
dei
Profili
Psicologici
Juan Moisés de la Serna
Traduzione di Rita Carli
Edizioni Tektime
2020

“La Lista dei Profili Psicologici”

Scritto da Juan Moisés de la Serna

Traduzione di Rita Carli

1ª edizione: giugno 2020

© Juan Moisés de la Serna, 2020

© Edizioni Tektime, 2020

Tutti i diritti riservati

Distribuito da Tektime

https://www.traduzionelibri.it

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Prologo

―Al principio non c’era nulla, tranne la luce. Almeno così mi avevano raccontato, e anche che sarebbe stato così, precisamente quello che ho visto nei miei ultimi momenti. Ma non era proprio come speravo. Mi sentivo stranamente leggero, come se tutte le preoccupazioni che mi stavano logorando in quei giorni stessero svanendo .

»Neppure la fretta che mi aveva fatto correre in autostrada, ora aveva alcun interesse per me. Mi sentivo leggero, tranquillo, senza compiti nè legami. Mi pareva allora di vedere tutto con più chiarezza e prospettiva. In verità, avevo perso molto tempo della mia vita, con tanti sforzi inutili per sembrare, per ottenere, per arrivare più lontano degli altri, e ora tutto mi sembrava così banale.

Dedicato ai miei genitori


CAPITOLO 1. L’INVITO

―Al principio non c’era nulla, tranne la luce. Almeno così mi avevano raccontato, e anche che sarebbe stato così, precisamente quello che ho visto nei miei ultimi momenti. Ma non era proprio come speravo. Mi sentivo stranamente leggero, come se tutte le preoccupazioni che mi stavano logorando in quei giorni stessero svanendo .

»Neppure la fretta che mi aveva fatto correre in autostrada, ora aveva alcun interesse per me. Mi sentivo leggero, tranquillo, senza compiti nè legami. Mi pareva allora di vedere tutto con più chiarezza e prospettiva. In verità, avevo perso molto tempo della mia vita, con tanti sforzi inutili per sembrare, per ottenere, per arrivare più lontano degli altri, e ora tutto mi sembrava così banale. »All’improvviso ricordai i migliori momenti della mia vita, quando vivevo con i miei genitori, quando ero ancora un bambino, e poi durante l’adolescenza, con il mio primo amore, il matrimonio e i miei figli, e in cambio non avevo avuto sentore di grandi successi personali o almeno che potevo considerare tali, come la mia laurea, il mio primo lavoro, le mie promozioni.

Non ho visto molto neppure quello che sono riuscito ad ottenere, la mia casa, lo chalet, la macchina. Ho visto solo scene tenere, piene d’amore e tenerezza, che mi confortavano e mi facevano pensare che quello che contava veramente nella vita era questo, non tanto quello che si raggiunge o si vuole ottenere,quanto l’amore dato a e ricevuto dagli altri.

–Bene!, continui a fare progressi, ogni volta hai più coscienza di quello che ti è successo, ma hai ancora molte lacune.

–Dottore, crede che parlarne mi aiuterà a ricordare?

–E’ l’unico modo che c’è di ricordare. Quando una persona subisce una situzione come la tua, nella quale si è trovato così vicino alla morte, e, inoltre, con le conseguenze che ciò ha comportato, è importante parlarne.

–Ma perchè non ricordo nulla di me? Perchè non so nulla del mio passato, nè della mia persona?

–Caro, devi concentrarti su quello che ti ricordi, anche se sono momenti posteriore all’incidente. Potrei darti qualche informazione del rapporto dei pompieri che sono intervenuti per salvarti, ma preferirei che fossi tu stesso a ricordare― indicai la donna che era seduta accanto a lui.

–E se non riuscirò mai a ricordare?― protestó mentre mi sedevo su quel morbido divano, esausto per le molte ore che avevo trascorso ascoltando le centinaia di pazienti che prima di lui vi si erano sdraiati.

– e se non ricorderò chi sono?

– Di solito questo si supera, basta avere la sufficente pazienza, e soprattutto la fiducia nella natura umana, poichè, anche se ci sembra incredibile, quasi tutto si risolve da solo, col tempo necessario.

– Lo ha già visto prima? Intendo, un caso come il mio che si sia risolto.

–Non con le stesse caratteristiche– rispose lo psichiatra mentre finiva di scrivere qualche appunto in quel quaderno che usava come registro della seduta.

– Allora come fa a essere così sicuro che potrò recuperare la memoria? – Insistette il paziente mentre si alzava, dopo aver sentito la piacevole melodia dell’orologio che segnalava la fine della seduta.

– Non disperare, tutto arriva, al momento sarebbe bene che ti concentrassi su questi sentimenti che mi descrivi, che del resto sono molto positivi, può essere che prima fossi molto positivo ― rispose con un leggero sorriso, mentre sistemava la penna che usava per scrivere su quel quaderno dietro l’orecchio sinistro.

–Bene, farò quello che mi dice, perchè in realtà è l’unica speranza di sapere chi sono,― commentò mentre si alzava e si avvicinava allo psichiatra per congedarsi.

– Bene, allora la settimana prossima continueremo a parlarne ― disse mentre gli stringeva la mano, e lo accompagnava alla porta,toccandogli leggermente la spalla.

Aprì la porta e con un gesto della mano li congedò, osservandoli uscire dal suo studio. Una volta chiusa la porta, aspettò che fossero passati alcuni secondi e sospirò profondamente.

“ Quante difficoltà hanno certe persone!!”, pensò tra sè mentre tornava dietro la scrivania dove lo aspettava una comoda sedia, riccamente ornata di broccati a fiori efiniture in mogano, che gli davano una certa aria di dignità, così come desiderava quando l’aveva acquistata in quell’asta di beneficienza.

Si presume che sia appartenuto a una famiglia d’alto rango, niente più e niente meno che visconte o qualcosa di simile…, ma a prescindere dal sapere se fosse vero o meno, quello che si poteva dire è che quando si lasciava cadere sul morbido cuscino e appoggiava i gomiti sugli appositi braccioli si sentiva importante.

“Quasi posso immaginare, chiudendo gli occhi, come sarebbe la vita in un palazzo, dove non bisogna lavorare per guadagnarsi il pane tutti i giorni, in cui l’unico compito è passeggiare nella proprietà per assicurarsi che tutto vada bene. Una vita di privilegi destinata a poche persone, figli di alto rango , che perpetuavano nei propri eredi una casata discendente dai re.”

Ero assorto nei miei pensieri quando all’improvviso suonò il telefono:

– Dottore, non ha più pazienti per oggi, i due che mancano hanno cancellato la seduta per ragioni diverse, ― disse all’altro capo della cornetta la voce della segretaria.

– Le hanno dato appuntamento per un altro giorno? ― chiesi, stupito.

– Sì, la settimana prossima verranno come al solito.

– Perfetto, allora se vuole per oggi abbiamo finito, e continueremo domani, molte grazie.

–Va bene, a domani.

Riattaccai, ancora stupito di quella casualità che mi lasciava a metà pomeriggio senza pazienti di cui occuparmi. Era normale che durante la settimana ci fossero una o due cancellazioni, quasi sempre per motivi personali o per qualche imprevisto, ma non due di seguito.

Presi il giornale e aprendolo con avidità cercai qualche dato interessante in quella masnada di notizie quelle più importanti.

–Assolutamente no, nessuno rinuncia a una seduta per andare al ballo…, neppure questo, la prima di un film a metà settimana non è niente di che… Ah, ecco!, ora capisco, la finale della Minor Leauge. Sicuramente hanno un figlio nella squadra locale o saranno molto appassionati di questo sport.

Anche se non condividevo quella passione che in alcuni casi si trasformava in fanatismo, ero consapevole che fosse un’attività nella quale ci si può liberare delle proprie inibizioni, e identificarsi in un gruppo al quale normalmente non si appartiene, staccato dalla propria casa e dal proprio lavoro.

Era confortante vedere come la gente si riuniva nei bar a fare il tifo per la propria squadra e a soffrire per qualche evento sfavorevole o qualche goal che non veniva segnato; e, allo stesso modo, emozionarsi fino a scoppiare di gioia quando l’attaccante rubava la palla, avanzava nella propria area e finalmente riusciva a segnare.

Ma se quello era salutare, e anche catartico, perchè liberava le emozioni primarie, quello che più mi interessava era l’effetto che provocava quandoo giocava la squadra nazionale; è un risorgere del sentimento nazionalista, di fraternità nonostante le differenze, di unità nelle avversità.

Qualcosa che ho potuto verificare, attonito, quando sono andato all’estero, quando ho incontrato persone che non conoscevo affatto, che invece mi trattavano come un fratello quando c’era una partita in cui giocava la squadra nazionale, indipendentemente dal paese dove mi trovavo.

Un’ esplosione di gioia ed emozioni che sembrava aver spinto i miei pazienti di quel pomeriggio ad anteporre la loro passione alla seduta.

 

In quel momento ho sentito chiudersi la porta d’ingresso. La mia segretaria era uscita quasi silenziosamente, proprio com’era lei. Non voleva mai interrompermi, perchè a volte stavo rivedendo dei casi,scrivendo appunti nei rapporti dei pazienti che avevo finito di vedere, o consultando qualcuno di quei grossi libri di psichiatria che si trovavano negli scaffali della libreria.

–Non si finisce mai di imparare, ― le dicevo, quando mi rimproverava che quasi non mi riposavo tra un paziente e l’altro e credo che per questo non si disturbava a dirmi che usciva, anche fosse per prendere un caffè alla macchinetta.

Guardai fuori dalla finestra che dava su un parco vicino, e vidi che aveva cominciato a piovigginare. Erano le cinque del pomeriggio, ma il sole pareva avere fretta e non ci si vedeva quasi più per strada, per quei nuvoloni neri che si erano impadroniti del cielo azzurro che c’era quando era sorto il sole.

“Aspetto che smetta un poco e poi esco”, dissi tra me mentre mi sedevo sul divano. Mi guardai attorno, tra quelle quattro pareti, dove avevo trascorso buona parte della mia giovinezza, tentando di aiutare le persone a migliorare la propria vita, ciò che essi stessi si sono permessi di fare.

Era confortante vedere come alcuni, con un po’ di aiuto, riuscivano a superare quelle piccole asperità della vita che rallentano il nostro sviluppo; invece altri… per quante sedute facciano, erano incapaci perfino di rendersi conto della propria situazione, e il danno era identico sia per se stessi che per la relazione con gli altri.

“Se le pareti potessero parlare!”, pensai tra me e me. Chiusi il rapporto della persona che avevo smesso di vedere, dopo aver fatto alcune annotazioni sui suoi progressi, e mi alzai a cercare il suo fascicolo nello schedario dove tenevo classificati tutti i pazienti che al momento vedevo, lasciando i cassetti in basso per quelli che non avevano superato o avevano abbandonato la terapia.

Stavo cercando il posto dove mettere le carte del paziente in base al nome quando suonò il campanello.

“Che strano!!, ―pensai―, la mia segretaria ha le chiavi; può essere uno dei pazienti che hanno disdetto perchè la partita è stata sospesa per la pioggia, che venga a recuperare l’ora di seduta”, pensai mentre uscivo dallo studio e, attraversata la sala d’aspetto, mi avvicinai alla porta.

Aprendola in fretta, notai che dall’altra parte c’era una donna quantomeno trasandata che aveva iniziato a zampillare acqua sopra lo zerbino dell’ingresso.

–Entri, signora, ― dissi gentilmente mentre le cedevo il passo e mi spostavo dietro la porta.

–Grazie giovanotto, e mi scusi se vengo bagnata.

–Non si preoccupi, nessuno sapeva che il tempo sarebbe cambiato in questo modo,― dissi, giustificando il fatto che non avesse portato un ombrello, visto che si era protetta dalla pioggia solo con un fazzoletto legato sulla testa.

–Dove posso metterelo? ―chiese mentre se lo levava, facendo segno di volerlo strizzare.

– Da quella parte c’è un bagnetto, lì può strizzarlo se vuole, ― le dissi mentre le indicavo e chiudevo la porta alle sue spalle.

–Grazie, non volevo disturbare.

–Nessun disturbo.

La signora entrò in bagno e lì riuscì a scolare nel lavandino la maggior parte dell’acqua che quel fazzoletto era riuscito a frenare, evitandole di bagnarsi.

–E il cappotto?― chiese, uscendo dal bagno.

–Lo metto sull’appendiabiti― dissi mentre se lo toglieva.

–E’ molto gentile ―insistette, ―comunque, sa se il dottore può ricevermi, oggi?― chiese con voce dolce.

–Certo che sì, il dottore sono io,― risposi con un leggero sorriso.

–Ah!, Poichè lei è molto giovane, sembra che sia uscito ieri dall’università,―disse contrariata.

–E’ che mi tratto bene, si sa, un po’ di sport quotidiano e una corretta alimentazione.

–Ah!, allora deve darmi la ricetta, visto che i miei anni, non mi hanno trattato quel che si dice molto bene― ribattè mentre si metteva una mano sulla spalla, suppongo che fosse perchè aveva una vecchia frattura o qualcosa del genere. ―Bene, dove possiamo parlare? ―chiese la signora con tono impaziente.

–Se vuole, nel mio studio,― risposi, stupito da quella domanda.

–Preferisco su quella poltrona― disse, indicando quella della sala d’attesa.

–Allora, se preferisce qui…

–Sí, grazie ―disse, e si diresse verso la poltrona.

La seguii e mi sedetti sulla sedia della segretaria che presi da un lato per mettermi accanto.

–Mi dica, a cosa debbo la sua visita?

–Vede dottore, da diverse notti non riesco a dormire e non so bene perché, ma sta iniziando a darmi fastidio. All’inizio semplicemente mi sentivo stanca, e va bene, questo è sopportabile, ma ora non posso uscire in strada, perchè non so dove sono e cosa devo fare, e se entro in un bar a prendere qualcosa, mi addormento sul tavolo.

–Ha consultato il suo medico per vedere se ha qualcosa?

–Sono andata da tutti gli specialisti, ma nessuno mi ha saputo dire a cosa è dovuto.

–C’è qualcosa che lo ha provocato?, mi riferisco alle prime volte che si è resa conto di questo problema, sa se è successo qualcosa che ha modificato la sua vita, e che come conseguenza ha portato a questo?

– Ecco, niente che mi ricordi,o forse sì, non so se ha qualcosa a che fare, è una scatola che ho trovato in un parco. Non mi giudichi male, ma col poco che prendo di pensione, a volte raccolgo quel che trovo per strada per vedere se è utile. So che accumulo troppe cose, ma non asa il male che ho sopportato in gioventù.

–Accumula?― chiesi, stupito per quel commento.

–Sí, lo so, è molto strano, ma non posso evitarlo. Tutto quello che trovo ha un posto in casa mia, già so dove lo metterò.

–Soffre di Sindrome di Diogene?

–Sì, mi hanno detto così, quelli dei Servizi Sociali, quando sono venuti a sgombrare l’appartamento. Si può immaginare… tutta una vita a conservare cose, da un giorno all’altro me lo hanno lasciato vuoto, senza lasciare il più piccolo oggetto.

–Ma sa che non è salutare?― le chiesi,stupito per il verso che stava prendendo quella conversazione.

–Lo so, però sono molto pulita, a volte trasandata, ma tenevo tutto in ordine, e nessuno si è mai lamentato.

Non volevo insistere troppo su questo, primo perchè sembrava essere un argomento doloroso per lei, del quale ancora si vergognava, e secondo perchè non capivo cosa avesse a che vedere con la mancanza di sonno, quindi ho cercato di approfondire questo secondo aspetto.

–Ebbene?, Quale relazione crede che possa avere la mancanza di sonno e questo oggetto che ha recuperato?

–Ah!, sí, quella― disse, sconcertata. ―Vede, credo che sia preziosa, ma non ho neppure osato aprirla, era così bello che mi dispiaceva rompere l’involucro nel quale era avvolto.

– Ma se non sa cos’è, come fa a togliere il sonno?― dissi, mettendo in evidenza l’incoerenza di ciò che diceva.

–Precisamente, non so cosa sia, immagino siano un paio di scarpe nuove.

–Scarpe?― chiesi, sconcertato.

– Sì, o un bel fazzoletto per la testa. Non sa quanto ne vorrei uno― rispose emozionata con un gran sorriso.

–E perchè non apre e non lo scopre?― chiesi, stupito.

– Forse perchè è avvolto in una bella carta decorata.

–Come quella di un regalo?― chiesi, cercando di ottenere più informazioni possibili su quell’oggetto.

–Sì, di color rosso, per il mio gusto un colore molto attraente, e si nota che c’era un fiocco, ma ora rimane solo un pezzo incollato.

–Ma quando l’ha trovata c’era qualcuno?

–No, no, l’ho guardata e sono stata per un po’ con la scatola in mano, ma non è venuto nessuno a reclamarla, e non si fermava neppure chi mi passava accanto.

–E cosa vuole che faccia?― chiesi, sconcertato per la situazione.

–Forse che mi aiuti a dormire.

–E riguardo al pacchetto? Insistetti su quel dettaglio.

–Cos’ha che non va il pacchetto?

–Cosa vuol farne?

–Ah!, non lo so, lo riporterò dov’era, che c’è di male?

– No, assolutamente, è che pensavo che, se quello può essere la causa della sua mancanza di sonno…

–Sì, mi dica…―interruppe facendo molta attenzione.

–Bene, se è così, suppongo che se va a disfarsene tutto tornerà alla normalità.

–Crede?

–Certo!―affermai a chiare lettere, anche se non mi era così chiaro.

La signora mi guardò con pena, come se quella notizia le fosse arrivata al cuore dandole un gran dolore.

–Cosa crede che debba fare?

–Non lo so, ma se vuole risorverlo, deve aprirlo.

–Il pacchetto?

–Sí, il pacchetto ― ribadii.

–Ma se è un regalo che qualcuno sta aspettando, come posso aprirlo?

–Se lo ha lei non arriverà mai al suo destinatario, certamente lo da per perso― dissi, tentando di mostrare l’assurdità di quella situazione.

–Preferisco che lo tenga lei― disse la donna dopo averci riflettuto un poco.

–Cosa?― chiesi, sorpreso per quella decisione.

–Sì, così può dirmi cos’è, e può impacchettarlo di nuovo una volta che l’ha visto, e lo riporterà dove’era ― rispose con un sorriso nervoso.

– Ma, se lo apro…

–Con molta attenzione ― mi interruppe la donna con gli occhi grandi come piattini e uno sguardo penetrante.

–Sí, infatti, se lo apro, non perderà il suo fascino?

–No, guardi all’interno e mi dica cos’è, poi lo chiuda com’era, così credo di poter dormire come prima.

Personalmente non ero molto convinto di quale fosse la soluzione, ma vidi che questa signora era disosta a fermarsi per ciò che restava del pomeriggio se non avessi accolto la sua richiesta.

In verità non avevo mai affrontato una situazionetanto sconcertante e assurda, “Poteva aprirlo lei stessa senza necessità di venire a una mia seduta!”, ma, poichè volevo chiudere la questione, le dissi:

–Mi lasci vedere queste regalo!

La signora fece uscire da una borsa per la spesa una scatola bianca con una carta rossa e sopra un nastro dello stesso colore. “Sembra proprio una scatola da scarpe”, pensai tra me e me.

Con attenzione tolsi il nastro che ancora era presente e aprii la scatola alle spalle di quella signora, come mi aveva chiesto. Quale non fu la mia sorpresa quando la aprii del tutto.

–Cos’è?― chiese a voce alta tra il preoccupato e lo stupito.

–Sono scarpe?― chiese la signora, emozionata e ansiosa.

–No, è un anello di fidanzamento e un invito a un balletto.

–Un balletto?― chiese la signora, un po’ delusa dalle mie parole.

–Così sembra e c’è anche una dedica, “Anche se non ci conosciamo, sono sicuro che le nostre strade si incroceranno”.

–Non ha detto che era un anello di fidanzamento? ―rimarcò la donna, cercando di guardare mentre si copriva gli occhi per non farlo.

–Sí, perchè?― chiesi, senza capire la domanda.

–Come fa a sapere che è un anello di fidanzamento se non conosce l’altra persona?― puntualizzò la donna.

–Non lo so!― dissi, un po’ sconcertato, senza sapere se quello era una specie di scherzo o qualcosa del genere.

Sembrava che quella scatola non fosse stata persa, ma che fosse stata messa apposta per essere trovata da qualcun altro, una sorta di ‘messaggio nella bottiglia’,del quale avevo sentito raccontare delle storie, ma l’invito al balletto era molto strano, che fosse un appuntamento al buio?, ma, qualcuno sarà disposto ad andarci senza sapere con chi?

–Che delusione!―affermò la signora preparandosi a lasciare la seduta, ―tante speranze per nulla.

–Bene, penso che ora potrà dormire meglio sapendo cosa contiene― affermai con un sorriso forzato.

–Già!, bene, ma se almeno fosse stato un paio di scarpe, anche se di un numero diverso dal mio― protestó la signora.

–Prenda la sua scatola!― dissi, con l’intenzione di restituirgliela una volta richiusa e sistemato il tutto com’era.

–Non la voglio, che perdita di tempo!, addio― concluse la signora mentre chiudeva la porta alle sue spalle.

Uscii dietro di lei, cercando di farla tornare indietro per riprendersi la scatola e rimetterla dove l’aveva trovata, ma la signora non voleva saperne, e salendo sull’ascensore chiuse le porte in ferro e premette il pulsante per il piano terra.

Quella fu l’ultima volta che vidi la strana signora, che, lunghi dal cercare aiuto per il suo problema di accumulatrice seriale, aveva perso perfino il sonno per sapere cosa conteneva una scatola, questa sì, confezionata con gusto.

“Bene!, e io che pensavo di aver finito”, dissi tra me e me mentre tornavo nel mio studio, soddisfatto di aver fatto un’opera buona per una sconosciuta, “Ora potrà dormire tranquilla”.

Guardavo dalla finestra quando suonò l’orologio da parete così ben decorato, “Guarda un po’, si è fatto tardi”, pensai mentre mettevo le mani nella giacca per verificare di avere le chiavi dello studio.

 

“Ora sì che ho finito, per oggi”, dissi, mentre controllavo che il mio schedario fosse in ordine prima di lasciare il mio posto di lavoro, che era come una seconda casa, anche se, a dir la verità, passavo molto più tempo lì che dove abitavo.

Quelle quattro pareti, pieni di diplomi e di libri, erano diventate così familiari che quasi non mi rendevo conto di essere lì; soltanto quando qualcosa non era al suo posto sembrava rompersi l’equilibrio della stanza finchè non la rimettevo dove doveva stare.

All’improvviso, e sul punto di spegnere le luci, con la mano sull’interruttore, vidi sopra una sedia dello studio quella attraente scatola che aveva lasciato delusa la mia ultima paziente.

“A volte è più importante l’illusione che mettiamo su una cosa di ciò che possiamo davvero sperare da essa”, pensai,tenendo in conto le circostanze di quella signora che aveva perso perfino il sonno fantasticando su cosa potesse contenere quella scatola.

“Se solo le avesse datto un’occhiata prima, avrebbe evitato di rigirarsi così tanto nel letto”, riflettei su quello che avevo pensato di questa donna, “ma capisco che a volte l’illusione è l’unica cosa che ci interessa, e perrderla è molto difficile”.

La guardai e dissi tra me “e ora?”, ero in dubbio se liberarmene o lasciarla lì per vedere se il giorno dopo la donna sarebbe tornata a prendersela. Curioso percorsi la stanza, mi avvicinai a quella scatola e tornai ad aprire quell’attraente pacchetto così ben confezionato.

Cercai di verificare se ci fosse qualche altro oggetto nella carta da regalo che avvolgeva quei tre oggetti, ma non trovai nulla. Poi controllai se uno dei due pezzi di carta, il biglietto d’ingresso e la nota, avevano scritto qualcos’altro a parte l’ovvio e notai con sorpresa che l’ora del balletto era quel giorno stesso, entro circa un’ora.

“Bene!,almeno so dove trovare il proprietario di questa scatola!, ssarà meglio che gliela riporti, anche se non mi è chiara la ragione per cui abbandonare la scatola al suo destino. Quindi vado al ballo”, pensai deciso mentre raccoglievo la scatola, la chiudevo nel miglior modo possibile e uscivo dallo studio spegnendo le luci.

“Io al ballo?, Sono anni che non vado a un evento artistico come questo… molti anni”, pensai, cercando di ricordare l’ultima volta. Forse mi ero troppo concentrato sui miei pazienti, che trattavo come se si trattasse di un appuntantamento romantico, e quando venivano in ritardo senza avvisare, mi innervosivo.

Da tempo non andavo neppure in vacanza, poichè, in più di un’occasione, quando tornavo da un viaggio di piacere trovavo qualche paziente che era peggiorato, semplicemente perchè non aveva fatto la sua seduta settimanale con me.

Per questo, e per la mia ferma convinzione che la salute sia la prima cosa, abbandonai a poco a poco i viaggi che tanto mi piacevano. Non tanto a prendere il sole spaparanzato in qualche spiaggia dalla sabbia bianca, perchè sono chiaro di pelle e sotto i raggi del sole mi scotto subito, quanto per fare visite culturali in posti nuovi, addentrandomi nei loro musei.

Qualcosa che agli altri poteva sembrare noioso, per me era un fattore di arricchimento, vedere come pensavano e si comportavano ad altre latitudini, con riti e modi di esprimersi così caratteristici e particolari. Ma tutto questo è stato lasciato alle spalle e ciò che ne resta è a malapena qualche album di fotografie e nient’altro.

–Taxi!― gridai, non appena uscito dall’edificio dopo aver salutato il portriere, col quale avevo intrecciato un buon rapporto, anche se non avevo voluto intromettermi nei suoi affari personali, sebbene in qualche occasione avesse cercato di parlarmene.

A volte mi costava mantenere le distanze con gli altri, soprattutto quando sapevano della mia professione e volevano consultarmi per qualche problema proprio o di qualche familiare.

La verità è che non li biasimo, ma a volte diventava imbarazzante rifiutarmi di assisterli in mezzo a un corridoio o per strada, senza rendersi conto che esiste tutto un protocollo prestabilito, in modo che la persona fruisca della seduta col proprio tempo, il propio spazio e la propria tranquillità.

A nessuno verrebbe in mente di chiedere a un chirurgo di operarlo in mezzo alla strada, perchè è la stessa cosa che mi viene chiesto, di ‘operare l’anima’ in qualunque luogo.

–Taxi!― gridai ancora, mentre alzavo la mano.

–Dove vuole andare?― chiese il conducente quando salii sulla sua macchina.

–Al ballo, a vedere l’opera ―dissi mentre gli mostravo il biglietto che avevo tirato fuori dalla scatola, che avevo portato con me.

–Una bella serata?― chiese il tassista con un sorriso beffardo.

–Cosa?― chiesi, stupito per il suo gesto.

–Stanotte va a rimorchiare, questo è certo― rispose, mentre mi faceva l’occhiolino.

–Si riferisce alla scatola?― chiesi, notando che non la perdeva d’occhio ―ecco, non è mia, e la devo dare a qualcuno, ma non so a chi.

–Certo!, certo!― disse il tassista mentre si frugava nella camicia ―guardi, questa è mia moglie, siamo sposati già da dieci anni ed è stato in un posto come il suo. Ecco, è stato in un teatro, anche se a me non piacciono queste cose, ma a lei piace sistemarsi e andare nei posti eleganti.

»Ho risparmiato per tre mesi per avere una serata indimenticabile, e alla fine è stata un successo. Le avevo detto soltanto di vestirsi elegante e di tenersi la serata libera dal lavoro. E lì le ho fatto la grande domanda, e siamo rimasti assieme da allora― raccontava il tassista mentre guardava con affetto la foto quasi sbiadita di sua moglie.

– Ecco, farò delle domande, ma non questa― cercai di puntualizzare, anche se senza successo.

–Siamo arrivati― dissse il tassista con un grande sorriso. ―Buona fortuna!

–Sí, grazie― ho deciso di rispondere, per non dargli altri dettagli su quello strano pomeriggio in cui era venuta da me una donna con questa scatola che mi aveva portato a un’opera di balletto che non conoscevo.

Non ero un grande appassionato di quest’arte, ma in certe occasioni soprattutto quando andavo ai congressi, venivano organizzati eventi culturali, degni di partecipazione per il grande sforzo che gli organizzatori avevano fatto.

Mi trovai di fronte alla porta di un teatro, qualcosa che richiamò la mia attenzione, perchè non è il posto normale per un balletto. Al momento di entrare presentai il biglietto e il portiere mi disse:

–Buona serata!, la aspettavamo con una certa preoccupazione.

–Aspettavate me?― chiesi, stupito per quel saluto così strano.

–Per favore, aspetti che avvisi gli altri.

E detto questo aprì una porta interna e si mise a urlare:

–E’ già qui!, tutti pronti.

–A chi si riferisce il tutti?― chiesi, senza sapere bene perchè ci fosse tutto quel trambusto.

–Prego!, Prego!― disse una signorina aprendo una porta laterale che ostacolava il passaggio accanto alla finestrina di accesso.

–Grazie, ma non capisco a cosa devo tante attenzioni― dissi tra il sorpreso e il sopraffatto.

–Mi segua!― disse quella donna mentre ci addentravamo in uno stretto passaggio che sbucò in una saletta.

–Venga qui, per favore― disse un’altra persona da una poltrona.

–Da che parte devo scendere?― chiesi, vedendo che mi trovavo nel mezzo di un piccolo palcoscenico, mentre quella donna se ne andava.

–Alla sua destra ci sono tre scalini, non sono molto alti― rispose la persona che si alzava dalla poltrona.

Una volta trovata la strada, dissi alla persona che mi aveva accolto a braccia aperte,

–Qual è il mio posto?

–Uno qualsiasi!― affermò con un grande sorriso.

–Come dice?― chiesi, sorpreso.

– Sì, il posto che vuole, ora devo andare― disse mentre saliva sul palcoscenico da dove io ero sceso, e spariva dallo stesso posto da dove era sparita la donna che mi aveva portato fin lì.

–Signore e signori!, buona sera, prima di tutto vi ringrazio per la vostra presenza, spero che quest’opera sia di vostro interesse. E senza ulteriori indugi iniziamo― disse il bigliettaio che ora indossava una giacca verde e una calzamaglia dello stesso colore.

Mi guardai attorno per vedere se c’erano altri spettatori in quella sala, ma non vidi nessuno. Questo mi sorpese perchè non capivo cosa stava succedendo. Ero sicuro di essere arrivato nel modo giusto, l’indirizzo e anche il bigliettaio, tutto era in ordine, tranne quello che era successo da quando ero entrato.

Sul palcoscenico si presentavano contemporaneamente e in successione quelle tre persone che ballavano e cambiavano continuamente vestiti e intonazione.