L'Enigmatico Medico

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L'Enigmatico Medico
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L’enigmantico medico

Juan Moisés de la Serna

Traduzione italiana Alessandra Marchese

Tektime Editore

2021

Titolo originale: “El Enigmático Médico”

Scritto da Juan Moisés de la Serna

Traduzione italiana Alessandra Marchese

1ª edizione: may 2021

Juan Moisés de la Serna

© Tektime Edizioni, 2021

Tutti i diritti riservati

Distribuito da Tektime

https://www.traduzionelibri.it

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Prologo

Ci era voluto meno del previsto per il tragitto, con questi progressi dei mezzi di trasporto, l`avevo appena scoperto mentre rivedevo disinteressatamente alcuni fogli di un giornale che avevo comprato poco prima alla stazione.

Ciò che mi era costato di più di quel viaggio era stato prendere una decisione definitiva, quella che sempre lascia dubbi come i fondi di un buon caffè, circa la scelta se fosse stata giusta o meno, ma dopo una notte di sonno profondo risolsi la questione con determinazione e iniziai quello che sarebbe dovuto essere senza dubbio il mio desiderato destino. Finalmente m trovavo davanti a uno dei portici medievali più belli e maestuosi, porte in pietra scolpite con fatica e cura da scalpellini esperti nell`arte di trasformare il freddo e ruvido materiale proveniente dalle cave vicine in bellissime colonne, architravi e archi.

Dedicato ai miei genitori

Indice

  Copertina

  L’enigmantico medico

  Titolo originale: “El Enigmático Médico”

  Prologo

  Dedicato ai miei genitori

  Capitolo 1. Il ritorno

  Capitolo 2. La croce

  Capitolo 3.La città

  Capitolo 4. L’acquaiolo

  Capitolo 5. Il familiare

  Copertina

Capitolo 1. Il ritorno

Ci era voluto meno del previsto per il tragitto, con questi progressi dei mezzi di trasporto, l`avevo appena scoperto mentre rivedevo disinteressatamente alcuni fogli di un giornale che avevo comprato poco prima alla stazione.

Ciò che mi era costato di più di quel viaggio era stato prendere una decisione definitiva, quella che sempre lascia dubbi come i fondi di un buon caffè, circa la scelta se fosse stata giusta o meno, ma dopo una notte di sonno profondo risolsi la questione con determinazione e iniziai quello che sarebbe dovuto essere senza dubbio il mio desiderato destino. Finalmente mi trovavo davanti a uno dei portici medievali più belli e maestuosi, porte in pietra scolpite con fatica e cura da scalpellini esperti nell`arte di trasformare il freddo e ruvido materiale proveniente dalle cave vicine in bellissime colonne, architravi e archi.

Un monumento imperituro e inamovibile, spettatore muto del lento scorrere dei decenni che passa da piccole e minuscole crepe a grandi vuoti, come tracce indelebili del passare del tempo, come solchi indelebili più tipici del volto stanco di un uomo anziano.

Ineludibile testimone delle vicende che si sono verificate ai suoi piedi, che vanno dai tempi di massimo splendore e culmine, di grande ascendenza e baldoria, centro delle più eminenti signorie e culla di illustri artisti, studiosi e filosofi, a quelli particolarmente difficili per cui i suoi abitanti dovettero affrontare aspre controversie, che provocarono, mentre era possibile, la fuga massiccia dei loro vicini.

Una spettacolare fortezza naturale situata sulla collina di una grande roccia, come un monastero, remoto e isolato dal mondo, le sue pendici sono percorse da un fiume ampio e tortuoso, che lo circonda come un fosso naturale, che ne aumenta le capacità difensive e la trasforma in una straordinaria roccaforte da conquistare, come testimoniano i numerosi fallimenti dei nemici che videro vanificati i loro sforzi di ottenere il bottino tanto desiderato.

Una città millenaria, con un grande patrimonio storico-monumentale con il quale deliziarsi ovunque si guardi, con antiche case conservate in condizioni così buone che è facile intuire come vivevano secoli fa.

Una meta di una bellezza incantevole, con edifici secolari pieni di storia, luoghi reconditi che ancora odorano di antichità e che sembra migliorare la sua spettacolarità nel tempo, come il buon vino.

Una città circondata da ampie mura e custodita da merli in ferro, il cui accesso poteva avvenire solo attraverso quegli enormi portici riccamente scolpiti e adornati di stemmi, all’interno dei quali si estende una rete di viuzze, che terminano davanti agli edifici più commemorativi o davanti a bellissime piazze con terrazze colorate dai fiori più belli.

E tutto questo ambientato in un luogo senza eguali, una straordinaria combinazione di naturalezza allo stato puro con l’architetturan più audace, che mi aveva affascinato dal primo momento in cui l’avevo vista e il cui ricordo mi ha accompagnato durante tutta la mia vita, poiché il tempo non era riuscito ad intaccare la mia memoria.

Questa era la seconda volta che ci venivo, ma adesso era diverso, non mi sentivo un estraneo, un turista in cerca di un bel ricordo, desideroso di vivere qualcosa di memorabile da raccontare a colleghi e amici al ritorno a casa, ora non ero di passaggio, mi sentivo di essere nel posto giusto e avevo intenzione di restarci. Ma per questo avrei dovuto prima risolvere una piccola ma importante questione, alla quale avevo dedicato troppo tempo, pensando a possibili alternative senza trovare alcuna soluzione, per trovare un lavoro con cui pagare il mio soggiorno e il mio mantenimento.

In precedenza, e prima che ci avessi rimesso qualcosa, avevo svolto molteplici e svariati mestieri, dai più semplici a quelli più faticosi fisicamente, come operaio edile, fino a quelli che richiedavano lo sviluppo di abilità speciali nel trattare con le persone e ricordarsi date e nomi, come la guida turistica.

Più o meno me l’ero cavata abbastanza bene in questi compiti che non comportavano alcuna responsabilità, nè obblighi maggiori di quello di rispettare il mio orario e aspettare di ricevere il pagamento corrispondente alla fine della giornata, come il salario di un contadino.

Tuttavia preferivo alcuni lavori rispetto ad altri, poiché le forze e le energie che mi avevano accompagnato in gioventù avevano lasciato il posto alla quiete e alla tranquillità dell’età adulta, e gli sforzi che impiegavo nei lavori di costruzione o di campo erano diventati per me dispendiosi e poco gratificanti.

Invece, il lavoro di guida mi attraeva sempre di più, non solo perché non richiedeva grande sforzo fisico, ma perché era stato molto più soddisfacente in termini di remunerazione, soprattutto quando, a parte il pagamento concordato ricevevo generose mance da alcuni clienti che in genere se en andavano soddisfatti di essersi goduti un bel viaggio, nel quale avevano appreso alcuni aspetti che sicuramente gli erano sconosciuti.

In questo lavoro di guida ho imparato molto, perché ogni cliente che veniva, aveva i suoi propri interessi nel conoscere un aspetto o un altro dei luoghi che gli mostravo, e in qualche occasione il visitatore conosceva dettagli della storia del luogo che a me erano sconosciuti, con i quali mi ha arricchito enormemente, e l’esser cosi ben pagato mi ha permesso di risparmiare del denaro con cui viaggiare, che alla fine mi ha portato proprio alle porte di questa città.

Oltre ad approfondire la conoscenza dei luoghi che ho visitato, ero anche curioso di conoscere alcuni misteri che ruotano attorno alla condizione umana, di voler far più chiarezza su come nel corso della storia le diverse civiltà si sono poste le diverse questioni essenziali, offrendo a tal fine disparate risposte, e persino contraddittorie, da un luogo all’altro.

Il voler conoscere e controllare l’evoluzione degli eventi futuri, sapere cosa ci aspetta dopo questa vita, e se esiste qualcosa al di là di ciò che vediamo e tocchiamo; cercare il senso ultimo della nostra esistenza o cercare di capire perché come specie siamo così diversi dal resto degli altri esseri viventi in natura, importanti interrogativi che scienziati, studiosi, filosofi, oratori e persino ciarlatani hanno tentato di risolvere,

 

cercando di calmare le inquiete coscienze di pochi desiderosi di capire il mondo che li circonda e il suo futuro, il quale a volte si mostra tanto incerto quanto imprevedibile, e può presentarsi estremamente benevolo o crudele.

Ma con mia sorpresa, invece di trovare un’unica risposta che riveli una verità superiore, valida per tutti e in ogni momento, trovai un amalgama di risposte parziali, che teneva conto più del particolare interesse dei governanti che guidavano i popoli, che fossero politici, militari o religiosi, che di una vera conoscenza indipendente dal potere.

Ciò che mi riempiva di stupore quando riflettevo su questo era: come poteva l’uomo non essere riuscito ad arrivare alla verità dopo così tanto tempo? E se lo aveva fatto, qual’era ,e perché non era conosciuta e accettata da tutti?

Con i miei vestiti quasi logori, più per un uso eccessivo che per mancanza di cura e igiene personale, sono passato tra quei massi di roccia scolpita che formavano una bella porta medievale, nel cui portico si mostra fiero quello stemma in rilievo, dell’emblema di uno dei più grandi e potenti governatori d’Europa, paragonabile solo alla maestosità raggiunta da Napoleone o dal Re Sole.

Fiancheggiato dai robusti merli che presidiavano minacciosamente l’ingresso riccamente adornato, ai cui lati si estendevano quelle irraggiungibili e spesse mura che separavano il mondo esterno conosciuto dal misterioso e gelosamente custodito tesoro, nascosto dietro quelle voluminose e pesanti porte di legno, rinforzate con ferro, che attraversavano la corteccia da sembrare minacciose come lance pronte.

Considerando gli anni in cui questo edificio è rimasto in piedi e il suo spessore, oserei stimare che migliaia di operai lavorarono a un’opera così grande, tanti quanti quelli che avrebbero potuto impiegare per costruire una delle maestose cattedrali dell’epoca, traccia innegabile della ferrea fede e della convivenza e complicità della religione con il potere governante del momento.

Costruzioni del genere non sono più possibili, poiché richiederebbero un’idea chiara di come raggiungere un fine così importante che sopravviverà migliaia di anni oltre le vite effimere dei suoi costruttori, proprio come succedeva anticamente per costruire gli edifici più longevi e spettacolari che l’uomo abbia conosciuto, le piramidi.

Furono tempi brutti per i popoli sottomessi, trasformati in schiavi che garantivano manodopera a basso costo, un lavoro minuzioso e laborioso, senza altra ricompensa che quella di arrivare vivi al giorno seguente, e con i capisquadra che brandivano le loro fruste in attesa che qualcuno ritardasse per fare il giusto uso di queste, con le quali lasciavano il loro marchio sulla pelle di qualche schiavo.

Ora una situazione del genere sarebbe impensabile, tanto meno quando si dispone di tanti macchinari, elevatori e gru, che facilitano enormemente qualsiasi attività pesante, per cui attualmente sarebbe ridicolo impiegare tanti lavoratori in un lavoro così colossale.

Inoltre, ora non sarebbe più necessario utilizzare blocchi di granito così grandi, poiché attualmente esistono materiali più resistenti, meno pesanti e più veloci da installare, dando maggiore sicurezza, ma ovviamente, questo avviene ora, prima…era l’unico che avevano.

Tutto era così artigianale e rudimentale, con pochi strumenti, tutti manuali, utilizzando principalmente la forza bruta, accompagnata da tanta perseveranza e capacità di sacrificio.

A dire il vero, non invidio nessuno di quei maltrattati operai, che con tanto sforzo e sofferenza diedero forma a un edificio cosi sfarzoso, poiché sicuramente più di uno ci ha lasciato la vita in questo lavoro, soprattutto quando hanno dovuto svolgerlo sotto questo sole che spacca le pietre e che affatica e pesa sulla volontà dei più determinati.

La scelta di questa città nella quale mi dirigo, attraversando un piccolo ma imponente passaggio che separa l’accesso dalla porta interna, che serve da ultimo contrafforte nella difesa, anche se avrei potuto scegliere qualsiasi altro luogo in questo momento della mia vita, deriva dal fatto che dentro di me mi sono sentito spinto a venire qui e cercare di svelarne i segreti.

Ho già visto molti turisti ammirare costruzioni millenarie come le piramidi disseminate per il mondo, tanto nel Medio Oriente quanto in America Latina o le più recenti costruzioni, stupirsi della grandezza del Colosseo a Roma o dell’altezza della Torre Eiffel a Parigi.

Sono stato testimone di come qualcuno si sia sentito rimpicciolito difronte ai giganteschi monumenti e statue come il David di Michelangelo, che rappresentavano la mitologia del luogo, ma quello che ho sentito di questa città sono state sempre meraviglie sorprendenti.

Non solo per la sua ricca architettura, anche questa ovviamente, nè per la sua storia, che ne ha anche tanta, ma per qualcos’altro, qualcosa che l’ha resa una calamita per tanti anni, come un luogo di culto o pellegrinaggio, che accoglie tutti a braccia aperte, senza distinzioni tra uomo e donna, grande o piccolo, e nemmeno di razza o religione.

Molte sono le località che durante l’anno accolgono ferventi devoti che si recano in pellegrinaggio in quei luoghi che considerano speciali, a volte indicati da una costruzione megalittica eretta o da una semplice croce come segno, o da un monumento naturale come montagne o grotte in determinati momenti dell’anno per commemorare una data speciale che celebra il cambio del ciclo stagionale,come i solstizi, o qualche evento straordinario come le eclissi.

Ma un luogo com quello in cui mi trovo non si trova tutti i giorni, e menomale, ho avuto la fortuna di poter venire a vivere dietro le sue porte, nella zona più vecchia e umile, ma per me la più autentica e originale.

Ho viaggiato per mezzo mondo lavorando com guida, visitando ogni quartiere, paese o città, portando i miei clienti da un luogo all’altro, cercando di insegnargli e spiegargli quello che stavano cercando.

Per alcuni erano le più grandi meraviglie che la natura ha scolpito pazientemente nel corso dei secoli come il Gran Canyon del Colorado, o i più sontuosi edifici che si conservano attualmente.

Mentre altri cercavano il contrario, luoghi umili ma non per questo con meno fascino, dove avrebbero potuto vedere la tradizione delle sue feste, cercando di avvicinarsi alla storia viva che si può contemplare in alcuni paesi, lontani dalla grande affluenza, dove è difficile arrivare se non a colpo sicuro, raccontandogli in questi casi le storie di ogni luogo, a volte molto ben documentate e altre quasi inverosimili, che si mantengono attraverso la tradizione orale tra i più anziani del luogo, conservando così l’essenza dei luoghi visitati.

Anch’io ero rimasto sorpreso dalla bellezza di alcuni luoghi che non erano nemmeno segnati sulla mappa, o dal fascino di alcune contrade che per le loro piccole dimensioni erano difficili da trovare, ma tutto diventava piccolo, quasi insignificante, vicino a quello che stavo per trovare.

Almeno è così che lo vivevo, con grande emozione e incertezza, come un bambino a cui viene dato un regalo incartato, che lo riempie di inquietudine e allegria allo stesso tempo, è ansioso di sapere cosa ci sarà dentro a quel sorprendente e accattivante pacchetto splendidamente adornato con un grande fiocco rosso.

Dalla mia vasta esperienza e da quanto ho dedotto da altri viaggiatori che ho conosciuto in luoghi così strani e reconditi, so cosa avevano provato e vissuto gli altri quando sono arrivati lì, e l’unica cosa che mi aspettavo, era di poter fare un esperienza almeno simile a quello che mi avevano detto, qualcosa che cambiasse sostanzialmente il mio modo di vedere e capire ciò che mi circonda, come un battesimo che mi introduce in una nuova vita, con il quale mi risveglio in una nuova realtà, trasportandomi a un livello superiore di conoscenza di me stesso e degli altri, forse avevo aspettato abbastanza, ma se l’avevano potuto sperimentare gli altri, perché non avrei potuto farlo io?

Ogni altra sensazione di sorpresa, ammirazione e perfino sconcerto, sarebbe per me una delusione poiché l’ho già vissuta, oltre all’effetto momentaneo dell’esser presente davanti a ciò che mi ha meravigliato, niente è cambiato in me. Ho continuato ad essere lo stesso che ero prima di quella visione, con i miei difetti e virtù, senza andare oltre quello che conosco e sento, al contrario di quello che mi aspetto in questa città.

Forse è troppo confidare in una costruzione così antica, è probabile che mi debba accontentare di trascorrere un bel soggiorno e senza problemi, come mi è capitato in alcune occasioni ma, devo dirlo, non è stato per colpa mia, semplicemente mi trovavo nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Anche se questo, ovviamente, non ha mai convinto la polizia o le autorità giudiziarie, quindi in più di un’occasione mi sono ritrovato a visitare le pareti freddi e umide delle carceri, dove scarseggiava la buona compagnia di cella, essendo ubriachi, vandali o recidivi, o tutti e tre contemporaneamente.

E’ stata una dura lezione di umiltà quella che ho dovuto subire quando sono stato ingiustamente trattato, preso e trattenuto contro la mia volontà per giorni, fino a che si è svolto il processo e sono stato rilasciato, ma nel frattempo sono stato sottomesso a condizioni tanto precarie che non lo avrei augurato nemmeno al mio peggior nemico.

Ma per quanto strano possa sembrare, è stato in questi tristi esilii, precisamente nella quiete della notte interrotta solo dal passaggio del carceriere per controllare che tutto fosse in ordine o dal commento scurrile di qualche altro prigioniero che si lamentava del suo confinamento. Nell’oscurità del mio piccolo abitacolo provvisorio, illuminato solo dal riflesso della luna piena, che entrava come un’ospite inatteso tra le sbarre di una minuscola finestra in cima alla cella, è allora che ho capito che il nostro passaggio attraverso la vita deve essere più di una semplice successione disorganizzata, e a volte arbitraria, di momenti di gioia e tristezza.

Come penso sia successo a tutti, ho preso molti pali nel corso degli anni, ma me la sono anche goduta, mi sono divertito e ho condiviso la mia gioia con amici e familiari, e suppongo ci saranno ancora molti momenti buoni e cattivi da vivere.

Ma qualcosa dentro di me si è rotto la prima notte che ho dovuto passare, rannicchiato in un angolo di quella stanza umida, nel quale ho dovuto affrontare una solitudine forzata, senza nessuno a fianco a me a sostenermi e nemmeno ad ascoltarmi, terrorizzato all’idea di non riuscire a svegliarmi il giorno successivo di quella terribile esperienza, che superava qualsiasi incubo che avessi avuto in precedenza.

Pensandoci bene la mia vita non è stata poi così diversa da quella del resto, forse un pò più impegnata e frenetica, comparabile a quella di un qualsiasi marinaio che sta visitando porti diversi, di piloti di aereoplani che ogni giorno si svegliano in un paese diverso, o di un militare che va ovunque il suo paese gli richieda, sia per portare la pace che per partecipare a missioni umanitarie, professioni che a lungo andare rendono difficile ricordare tutti i luoghi visitati, nè si potrebbe ricordare tutti i bei momenti condivisi, nè delle persone conosciute, che siano compagni, amici o altro.

Forse, se fossi nato in uno di quei grandi e inospitali deserti, che affiorano in quasi tutti i continenti come funghi che richiamano la debolezza dell’ecosistema nel quale viviamo, e la necessità di prendersi cura di un bene tanto prezioso come l’acqua, forse avrei fatto questo tipo di esperienza molto tempo prima.

Se fossi stato un indigeno del deserto del Sahara, o meglio un berbero, di quelli che attraversano le interminabili dune, sotto un sole cocente, a volte con l’unica compagnia dell’incessante vento torrido che ridisegna capricciosamente il paesaggio, seguendo sentieri che non esistono ma che hanno attraversato per generazioni, camminando sulle orme dei dromedari, cancellate all’istante dalla brezza silenziosa che mette a tacere la voce soffocata del tempo, orientandosi unicamente con quelle statiche e luminose stelle, e con le belle storie narrate da viandante a viandante, in cui si parla dei luoghi per rifornirsi d’acqua o dove rifugiarsi in caso di una tempesta di sabbia.

 

Stando così le cose, avrei l’opportunità di provare che non mi sentirei diverso dal resto, ma al contrario, sarei più unito al mondo che mi circonda, accettando la natura così com’è, senza chiedersi perché accadono certi eventi,e gli altri, per quello che sono e non per quello che posseggono, senza fare distinzioni tra paesi, razze e religioni.

Quando sei stato in giro per il mondo com l’ho fatto io, ti rendi conto che ciò che unisce l’umanità è la sua capacità di reinventarsi continuamente e che molte volte ci limitiamo a noi stessi con questi confini, a volte così assurdamente inventati, che dividono una popolazione o una valle in due, trasformando gli abitanti, che fino a quel momento erano stati una famiglia e vicini di casa, in nemici di cui diffidare.

O il linguaggio, non c’è peggior invenzione della lingua che separa e divide, che impedisce una comunicazione fluida, che confonde e ostacola il processo di comprensione? Quante volte ho visto soffrire gli altri per non riuscire a comunicare correttamente cercando di gesticolare per spiegarsi, trattenuti ingiustamente o subendo l’indifferenza e il disprezzo di chi non li capisce?

Quando vuoi dire qualcosa e gli altri non ti capiscono, turisti, visitatori, immigrati o esiliati devono confrontarsi con la nuova realtà, vedendosi costretti ad imparare una nuova lingua come mezzo di sopravvivenza, e non solo per poter trovare lavoro.

Per me non c’è peggior invenzione di questi dialetti emersi come castigo per l’arroganza umana, almeno così lo riportano i Libri Sacri, quando ricordano con vergogna l’evento della Torre di Babele, quella che doveva essere la più grande costruzione dell’umanità, che sarebbe arrivata con la sua cima alla volta celeste, e che rimase incompiuta come simbolo della dissoluzione di quel popolo che si credeva così superiore.

Qualunque sia l’origine delle varie lingue, nel corso della storia, invece di servire per comunicare in modo migliore, separano e dividono le comunità in ghetti, impedendo uno scambio fluido di idee ed esperienze, arrivando a confondere e ostacolare il processo di comprensione, a favore di un falso modernismo e ideale di differenziazione e indipendenza.

Sebbene in molte occasioni si sia cercato di superare tali differenze, cercando di far predominare una lingua sulle altre, così per molti anni l’inglese è stato la lingua dominante a livello commerciale, mentre il francese in termini di diplomazia e relazioni tra paesi. Fu addirittura creato un linguaggio che comprendesse una buona parte degli idiomi occidentali esistenti, con l’idea di sostituirli tutti, stabilendo così una lingua unica e universale, l’Esperanto.

Un bel sogno di unità sotto un’unica lingua che cercava di facilitare la comunicazione tra popoli, e quindi evitare controversie, faide e invidie, favorendo lo scambio e la comprensione, in breve, creando una società in cui tutti potessero capirsi indipendentemente dal luogo, dalla razza o dalla religione di provenienza.

Un sogno che è rimasto nell’oblio, presente solo per i più nostalgici, a cui pochi si aggrappano per mantenerlo vivo, sperando che un giorno ciò che ci unisce superi di gran lunga ciò che ci differenzia e ci separa, e che ha creato tanti problemi e difficoltà in termini di convivenza.

Quante volte ho visto genitori soffrire per i propri figli, trattenuti alle frontiere, che volevano accedere a quello che loro credevano un mondo migliore per la propria famiglia, solo per non saper comunicare correttamente, cercando di gesticolare per spiegarsi, arrestati ingiustamente mentre subiscono l’indifferenza e il disprezzo di quelli che non li capiscono, né si preoccupano di comprendere la loro situazione.

Oppure professionisti altamente qualificati che si trasferiscono in un altro paese e devono ricominciare da capo la loro vita lavorativa, svolgendo lavori al di sotto delle loro capacità, e che non sarebbero mai arrivati a pensare di poterli svolgere poiché li consideravano troppo semplici e poco motivanti, e tutto ciò per non dominare la lingua del paese ospitante.

Questo è ciò che accade a turisti, visitatori, immigrati o esiliati, quando vogliono dire qualcosa e gli altri non li capiscono, quindi devono affrontare la nuova realtà linguistica, vedendosi costretti ad imparare quella che per loro era una lingua sconosciuta, sia per poter trovare lavoro, che per sopravvivere in questo paese straniero durante la loro permanenza.

Uno sforzo di adattamento che non fa distinzioni né di età né di condizione, perché colpisce tutti allo stesso modo quando devono emigrare o quando la permanenza in quel paese si fa più lunga di un semplice viaggio turistico.

Ma se ci si riferisce all’ingiustizia, la cosa più ripugnante per me è la sofferenza causata dal fatto di avere un colore diverso della pelle, o da qualcosa di più intimo come la pratica di un’altra religione.

Quante sciocchezze nel mondo, che vogliono differenziarci, dividerci e separarci, indicare gli uni agli altri secondo la loro ideologia, genere, razza o credenza. Tutto questo per cosa?

Forse qualcuno, da qualche parte, può sentirsi il possessore della verità, così tanto dolore inferto e giustificato da verità così debolmente afferrabili come: “i miei genitori vivono in queste terre da prima dei tuoi.” o “ se lascio te devo lasciare anche chi viene dopo.”

E’ vero che quando ho iniziato questa vita di transumanza sapevo che avrei avuto l’opportunità di conoscere in profondità la condizione umana, i migliori atti di generosità e amore, le più innominabili oscenità, che avrei assistito a momenti allegri e a momenti amari, dei primi sono contento e orgoglioso di aver potuto partecipare alle gioie degli altri, degli ultimi…, ho dovuto tacere molto per sopravvivere, anche se a volte ho dovuto mordermi la lingua per non urlare e denunciare le ingiustizie e gli oltraggi a cui erano sottoposti i loro simili.

Probabilmente non avrò mai tempo di annotare le mie tante e molteplici avventure in giro per il mondo, di luoghi sconosciuti, persone con cui ho avuto sporadici incontri, con usanze e rituali i più strani ed esotici, e tutto grazie a una decisione.

Ora sto per prendere la mia seconda grande decisione della vita, almeno così la sento. E’ probabile che per altri si tratti di qualcosa di banale, il sapere dove si vive e quanto tempo si rimarrà nella stessa città, ma per me è così importante…quanti aneddoti posso raccontare semplicemente chiudendo gli occhi e ricordando un posto su questa terra, così tante esperienze accumulate, e la cosa più sorprendente è che la maggior parte sono positive.

E’ vero che sono sorti momenti di difficoltà, altri nei quali ero sicuro di poter portare con me un pezzo di essi, ma che si sono dissipati tra gli altri buoni che mi hanno arricchito attraverso il contatto con altre persone.

Edifici, monumenti, statue e altre opere dell’uomo mi sono sempre apparse come qualcosa di temporaneo, anche segni di banalità; cascate, canyon e deserti, al contrario mi sono sembrati così simili da un luogo all’altro; è vero che il calore può influenzare la terra in modi diversi, a seconda della sua latitudine o della composizione del suolo, ma in entrambi i casi si tratta di crepe e sabbia, canyon o gole, talvolta interrotte da spettacolari e abbondanti cascate o da fili sottili che, come fossero d’argento, lasciano cadere il loro prezioso liquido infondo al canale. Ma ciò che è stato sempre diverso sono le persone, ognuno con le sue proprie esperienze e vissuti precedenti, col proprio modo di pensare e intendere la vita e il mondo, con le proprie credenze e valori, questa sì che è stata una scoperta per me.

Non che mi consideri un filosofo o qualcosa del genere. ed è per questo che mi attrae maggiormente, vedere e capire la natura umana, più che altri aspetti della vita.

Niente di più lontano della realtà, è stata tutta una scoperta vedere come ognuno ha dentro di sé la possibilità di essere il migliore o il peggiore allo stesso tempo, e che dipende unicamente dalla volontà della persona.

Non mi riferisco più solo alla felicità, quel concetto sfugge a molti di noi e sembra riservato soltanto a pochi, che sono benedetti da genitori facoltosi, o da una fruttuosa attività personale, o semplicemente per caso, rendendoli felici con un bel premio alla lotteria, ma per il resto dei mortali quel concetto di felicità è contraddetto dallo sforzo quotidiano di alzarsi e andare a lavorare, di tornare dopo diverse ore di duro e intenso lavoro, e vedere che ciò che ti resta della giornata è per condividere con i tuoi i momenti di relax e poco altro, e alla fine della serata torni a pensare a come il giorno dopo dovrai ricominciare con la faticosa routine della vita lavorativa, aspettando che arrivino quei giorni quasi magici, dove tutto è lecito desiderare, le vacanze.