Depressione

Text
Read preview
Mark as finished
How to read the book after purchase
Font:Smaller АаLarger Aa
Depressione: quando la Tristezza diventa Patologica
Dr, Juan Moisés de la Serna
Traduzione italiana Valeria Bragante
Editorial Tektime
2019

“Depressione: quando la Tristezza diventa Patologica”

Escrito por Juan Moisés de la Serna

Tradotto da Valeria Bragante

1ª edizione: aprile 2019

© Juan Moisés de la Serna, 2019

© Edizioni Tektime, 2019

Tutti i diritti riservati

Distribuito da Tektime

https://www.traduzionelibri.it

Non è consentita la riproduzione totale o parziale di questo libro, né il suo inserimento in un sistema informatico, né la sua trasmissione in qualunque forma o con qualunque mezzo, sia elettronico, meccanico, in fotocopia, tramite registrazione o altri mezzi, senza previa autorizzazione scritta dell’editore. La violazione dei diritti sopracitati può essere punita penalmente come reato contro la proprietà intellettuale (Art. 270 e seguenti del Codice Penale).

Rivolgersi a CEDRO (Centro Español de Derechos Reprográficos) in caso sia necessario fotocopiare o scannerizzare una parte di questa opera. É possibile contattare CEDRO tramite il sito web www.conlicencia.com o telefonicamente al numero 91 702 19 70 / 93 272 04 47.

PREFAZIONE

Nella vita si susseguono gli avvenimenti, i fatti postivi e negativi, che influiranno sul nostro modo di pensare e di comportarci, ma anche su come noi ci sentiamo.

La tristezza normalmente deriva da una perdita o da un avvenimento che percepiamo come negativo, o semplicemente perché non si sono realizzate le nostre aspettative.

Questa tristezza può essere passeggera, durare ore, giorni o addirittura settimane, ma quando questa tristezza si prolunga nel tempo e cambia il nostro modo di sentire, pensare e agire, forse siamo di fronte ad un problema più grave, la Depressione.

RINGRAZIAMENTI

Vorrei ringraziare tutte le persone che hanno collaborato con il loro contributo alla realizzazione di questo testo, in particolare Dª Mayca Marín Valero, psicologa e responsabile della Formazione nella Federación Española de Párkinson e D. Ferrán Pädrós Blázquez, professore della Universidad Michoacana di San Nicolás de Hidalgo (Messico).

Un ringraziamento anche a Valeria Bragante, la mia traduttrice italiana.

Dedicato ai miei genitori


CAPITOLO 1. TRISTEZZA

Uno dei problemi che con maggior frequenza si presentano in ambulatorio è collegato alle emozioni, sia riguardo l’attivazione, in caso di stress e ansia a causa dell’inibizione, in caso di tristezza e depressione.

Però non si tratta unicamente di una maggiore sensibilità delle persone per questi problemi, e perciò si rivolgono con maggior frequenza all’ambulatorio psicologico, ma anche perché sono i problemi più comuni, più di qualunque altro disturbo dell’ambito della salute mentale.

La tristezza è uno stato in cui la persona smette di sentirsi “piena” o almeno “normale”, considerata una delle emozioni basilari, assieme a felicità o paura.

Sono molti i motivi che possono generare tristezza, dalla perdita di una persona amata, fino a non avere raggiunto un obiettivo desiderata, ma forse il più grave è la presenza di una malattia, soprattutto se è incurabile o cronica.

La relazione tra salute fisica e mentale da tempo non viene più messa in discussione. Quando qualcuno soffre per un male fisico, questo avrà un effetto diretto sul suo stato d’animo, e sul resto degli ambiti personali, compreso il suo modo di relazionarsi con sé stesso e con gli altri.

Quando una persona sta male, per esempio, a causa di una patologia cronica, questo può alterare in modo significativo il suo stato d’animo portando addirittura il paziente a soffrire di depressione.

Però quando compaiono i sintomi della depressione la situazione si aggrava, dato che gli effetti sulla salute sono importanti, riducendo la qualità della vita di una persona, con un peggioramento dello stato d’animo, ma anche del sistema immunitario, facendo entrare il paziente in un circolo vizioso.

Quanto si sente peggio fisicamente, tanto peggiora psicologicamente, e quanto più soffre di sintomi depressivi, in modo tanto più peggiore risponderà il corpo e pertanto invece di facilitare il recupero, lo pregiudica.

La conseguenza di questo circolo vizioso è un aggravamento della sintomatologia, peggiorando la qualità di vita del paziente, rendendolo meno tollerante verso ciò che accade con una prognosi peggiore, a confronto con un altro paziente che non abbia associati questi sintomi depressivi.

Di qui l’importanza di individuare i primi sintomi di depressione, per poter curarli quanto prima affinché non avanzino pregiudicando ancora di più la salute del paziente. Una delle difficoltà a questo riguardo è proprio nella cura, dato che alcune volte il farmacologo è incompatibile con la patologia cronica, perciò ci si dovrà concentrare esclusivamente sull’aspetto psicologico, ma quante persone che soffrono di una patologia cronica sono ammalate di depressione?

Questo è proprio ciò a cui si tenta di dare una risposta presso il Department of Community Health Nursing, Al Farabi College, Riyadh, assieme al Psychiatric Mental Health Nursing, Faculty of Nursing, The University of Jordan, Amman e al Psychiatric Mental Health Nursing, King Hussein Cancer Center, Amman, assieme al Al Farabi College, Riyadh, ed al Department of Medical Surgical Nursing, College of Nursing, King Saud University, Riyad (Jordania) dove hanno realizzato uno studio i cui risultati sono stati pubblicati nella rivista scientifica Psychology [1].

A questo studio parteciparono ottocento sei pazienti, 45% donne ed il resto uomini. Tutti avevano sofferto di una patologia cronica come minimo dagli ultimi sei mesi, sia che fosse un diabete tipo II, artrite reumatoide, malattie cardiovascolari, cancro o malattie polmonari.

Furono esclusi dallo studio coloro che avevano già una storia di precedenti problemi di salute mentale.

Furono utilizzati sei questionari tradotti in arabo, il Multidimensional Scale of Perceived Socia Support per analizzare la percezione di appoggio sociale dei pazienti, il Beck Depression Inventory-II (B.D.I-II) per valutare la presenza di sintomi depressivi, il Psychological Stress Measure (P.S.M.) per valutare i livelli di ansia, il C.O.P.E. Inventory per valutare la gestione dello stress, il Life Orientation Test (LOT-R) per i livelli di ottimismo ed il Satisfaction with Life Scale per i livelli di soddisfazione nella loro vita.

I risultati indicano che la metà dei pazienti con patologie croniche mostrano sintomi depressivi, di questi il 27% sono sintomi lievi ed il 31% moderati.

Analogamente, questi pazienti mostrano bassi livelli di ottimismo nella metà dei casi, con una moderata abilità nella gestione dello stress, nonostante questo dimostrano livelli elevati di soddisfazione nella loro vita, livelli moderati di stress, e bassi livelli di percezione di appoggio sociale.

Bisogna ricordare che questi risultati sono stati ottenuti mediante questionari a cui hanno risposto gli stessi pazienti, quindi alcuni risultati sono migliori di quanto ci si possa aspettare sulla soddisfazione della vita o i livelli di stress.

Uno dei limiti dello studio è proprio la popolazione oggetto di analisi, cioè, si è tenuto conto unicamente dei pazienti di una popolazione molto concreta come gli abitanti della Giordania, un popolo con una cultura, religione ed idiosincrasia molto particolare, perciò è necessaria un’altra indagine a questo riguardo per poter verificare se i risultati si mantengono anche in altre popolazioni.

Analogamente, avendo riunito all’interno del gruppo pazienti con diagnosi di patologie gravi così diverse, e con prognosi tanto differenti, come il diabete insieme al cancro, può aver influenzato i risultati.

Sarebbe opportuno scegliere un unico gruppo di malati cronici ed osservare quanti di essi soffrono di sintomi depressivi, dato che l’informazione ottenuta a riguardo avrebbe maggiore validità ecologica.

Esiste una relazione tra depressione e livello economico?

Sono stati indagati molti fattori che potrebbero favorire o proteggere la persona dal soffrire di depressione, e nel caso si ammalasse, che la aiutino a superarla.

La rete sociale di appoggio è stata considerata uno degli elementi fondamentali sia a livello preventivo sia per favorire il recupero, in caso di caduta in depressione.

Analogamente è noto che esistono altre circostanze che possono favorire la depressione, come il tracollo economico, una perdita affettiva e persino il lavoro, ecc.

Questi possono essere fattori scatenanti che si possono mantenere in un periodo ragionevole di “dolore” o diventare cronici e trasformarsi in una vera depressione maggiore.

Bisogna considerare che la depressione ha tre componenti: componente affettiva, comportamentale e cognitiva, fattori che sono strettamente collegati fra loro in modo da autoalimentarsi formando un circolo vizioso difficile da rompere senza un aiuto terapeutico specializzato.

I pensieri diventano catastrofici, pessimisti e senza soluzione per la situazione presente..

Ma quando una persona è esposta ad una realtà sfavorevole, i pensieri catastrofici coincidono con la sua realtà, per cui ne esce rafforzato nel proprio pensiero e questo favorirà la comparsa della depressione, allora: esiste una relazione tra depressione e livello economico?

Questo è proprio ciò che si può rispondere grazie ad un rapporto pubblicato dal Dipartimento della Sanità del governo di Porto Rico, sviluppato nel 2013 [2].

 

In esso si analizzano diversi fattori che possono influire sulla presenza della depressione, ed è stato realizzato all’interno di un progetto più ampio per ricercare comportamenti a rischio tra la popolazione secondo il programma The Behavioral Risk Factor Surveillance System (B.R.F.S.S.).

A questo scopo è stato realizzato un sondaggio telefonico su un campione di seimila abitanti che rappresenta lo 0,21% della popolazione totale, tutti maggiori di diciotto anni, a maggioranza ispanica (98,5%), il 64% composto da donne ed il resto uomini.

Analogamente sono stati raccolti i dati per fasce di età, livello di istruzione dei partecipanti ed entrate economiche.

I risultati mostrano che le persone nella fascia da quaranta a cinquantaquattro anni; e quelle da cinquantacinque a sessantaquattro anni, sono quelle che maggiormente soffrono di depressione, arrivando a livelli del 25,7% e 30,7% rispettivamente, molto al di sopra dei livelli dei più giovani tra i diciotto e i ventiquattro anni, del 5,9%.

Analogamente mostrano che le persone con minori scolarità (senza aver terminato gli studi) presentano maggiori livelli di depressione, a paragone di chi ha terminato gli studi universitari, ottenendo percentuali del 21,3% a fronte del 12,4% rispettivamente.

Lo studio divide gli intervistati in sei fasce in funzione delle loro entrate economiche, risultando ammalati di depressione coloro che hanno entrate inferiori a 15.000 dollari con un 23,2%, a fronte di chi ha entrate maggiori di 75.000 dollari, con un 9,2%.

Uno dei limiti di questo studio, e caratteristico della raccolta dati tramite telefono, è che rimangono escluse certe popolazioni che per qualche motivo non dispongono di linea telefonica, e pertanto lo studio risulta distorto, rinunciando ad investigare una parte della popolazione.

Un altro limite dello studio, è che i risultati non distinguono il tipo di depressione sofferta, sia depressione maggiore o distimia.

I dati così presentati non permettono di operare confronti tra gruppi, che rendano possibile approfondire le differenze riscontrate tra i gruppi in funzione delle variabili analizzate.

Nonostante i limiti esposti, si sottolinea l’importanza dei risultati che mostrano il profilo di quelle persone più esposte a soffrire di depressione, con basso livello di istruzione, un’età tra i 45 e i 64 anni e con scarse entrate economiche.

Al contrario, le persone che sembrano essere più protette dal soffrire di depressione sono i giovani tra i 18 e i 24 anni, con studi universitari, e che guadagnano tra 35.000 e 49.999 dollari, e più di 75.000 dollari

Pertanto, e rispondendo alla domanda iniziale, sembra che sì esista una relazione tra depressione e livello economico, ma non è una relazione diretta, più denaro minore depressione, come si verifica tra chi guadagna tra 50.000 e 74.999 dollari che soffre di depressione in una percentuale simile ai livelli precedenti, in concreto assomigliando a coloro che guadagnano tra 25.000 e 349.999 dollari.

Anche se lo studio non si addentra in valutazioni teoriche sulle spiegazioni a questo proposito, sembra logico pensare che la preoccupazione per la mancanza di denaro può essere determinante, così come l’accesso ad una maggiore o minore quantità di risorse che potrebbero prevenire ed attenuare la comparsa dei primi sintomi della depressione prima che diventi cronica.

Qual è il costo della depressione nel Primo Mondo?

Quando si pensa alla depressione di solito non si considera il costo per la società in cui si vive, ma si pensa soprattutto alla persona che ne soffre.

Ma non è questo il problema che si pongono le pubbliche amministrazioni che cercano di ottimizzare le risorse privilegiando il denaro destinato ai diversi servizi e dipartimenti di loro competenza, sia in investimenti di materiali sia nel personale per poter dispensare i propri servizi con maggiore efficacia.

Il disturbo di depressione maggiore colpisce principalmente la salute psicologica del paziente, ma anche il resto delle sue attività quotidiane, l’appetito, o la capacità di avere un sonno ristoratore, ma i suoi effetti si estendono anche ai familiari, colleghi e amici.

È normale osservare un calo nel rendimento accademico o lavorativo, che in caso di una maggiore severità di questo disturbo, può portare la persona a perdere il posto di lavoro, gli amici ed il partner.

Attualmente esistono diversi metodi di intervento terapeutico dalla psicoterapia, alla terapia farmacologica, passando per la terapia elettroconvulsiva, quando il paziente non risponde adeguatamente ai farmaci.

Ciascuno di questi interventi richiede personale specializzato, lo sviluppo di una tecnologia ed un centro dove applicarla, aggiungendo “spese” per l’amministrazione, ma qual è il costo della depressione nel Primo Mondo?

Questo è proprio ciò che hanno cercato di verificare l’Institute for Epidemiology, Social Medicine and Health System Research, Hannover Medical School, l’Institute for General Practice, Goethe-University Frankfurt, e l’Institute of General Practice and Family Medicine, Friedrich- Schiller-University Jena (Germania) i cui risultati sono stati pubblicati dalla rivista scientifica Depression Research and Treatment [3].

Nello studio intervennero settanta medici della rete sanitaria tedesca, che realizzarono una rivalutazione dei loro pazienti con diagnosi di depressione, nel contempo li informavano dello studio in atto e raccoglievano il loro consenso per partecipare, alla fine furono 626 pazienti, 75% donne e 24,3% uomini, analizzati in tre momenti distinti, nel momento della richiesta di partecipazione, dopo sei mesi e dopo un anno.

Per ogni partecipante furono raccolti cinque dati, i farmaci prescritti, le visite dal medico di base, le visite specialistiche, la psicoterapia seguita ed il numero di ricoveri in ospedale, il costo desunto da tabelle standard elaborate dall’Ufficio di Statistica Federale.

I risultati mostrano che il costo medio annuale per paziente con depressione maggiore è di 3.813€, senza differenze significative di costo tra uomini e donne, anche i tre quarti dei pazienti partecipanti allo studio erano di sesso femminile.

In cifre macroeconomiche questo comporta una spesa annuale in Germania per pazienti con depressione maggiore di 15,6 miliardi di euro.

Quantità che agli autori sembra eccessiva, nonostante sia il disturbo psicologico più frequente tra i pazienti che si rivolgono ai servizi ambulatoriali. Quindi gli autori dello studio suggeriscono di realizzare maggiori interventi sia per la diagnosi precoce della malattia, sia per la ricerca di nuove e migliori terapie con cui ridurre il numero di consulti in ambulatorio, e soprattutto il costo totale dell’attenzione ricevuta dai pazienti con depressione maggiore.

Sebbene i risultati siano rivelatori, non ci informano sul costo maggiore o minore rispetto ad altre malattie mentali, e ad altre patologie fisiche; perciò non è possibile valutare se si tratta di una spesa eccessiva per le amministrazioni, né se considerarla prioritaria rispetto ad altre malattie a causa della spesa elevata.

Quanto esposto in precedenza dimostra che non si tratta di un problema minore, per le sue implicazioni sia per quanto riguarda il paziente, e la sua salute, sia per l’aspetto economico.

Ma per poter stabilire diagnosi e trattamento, per prima cosa bisogna distinguerlo da altri fenomeni dove esiste tristezza, ma non arriva a scatenare la Depressione Maggiore.

You have finished the free preview. Would you like to read more?