Aspetti Psicologici Nei Tempi Della Pandemia

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Aspetti Psicologici Nei Tempi Della Pandemia
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Aspetti
psicologici
nei tempi
della pandemia
Juan Moisés de la Serna
Tradotto da Anna Bini
Tektime Edizioni
2020

“Aspetti psicologici nei tempi della pandemia”

Scritto da Juan Moisés de la Serna

Tradotto da Anna Bini

1^ edizione: maggio 2020

© Juan Moisés de la Serna, 2020

© Tektime Edizioni, 2020

Tutti i diritti riservati

Distribuito da Tektime

https://www.traduzionelibri.it

Non è consentita la riproduzione totale o parziale di questo libro, la sua incorporazione in un sistema informatico, né la sua trasmissione in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, tramite fotocopia, registrazione o altri metodi, senza previa autorizzazione scritta dell’editore. L’infrazione dei suddetti diritti può costituire un reato contro la proprietà intellettuale (art. 270 e successivi del Codice penale).

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Prologo

Dopo la grande accoglienza dell’articolo intitolato “Qual è il ruolo dello psicologo di fronte al nuovo Coronavirus (COVID-19)?” che ho pubblicato su Cátedra Abierta de Psicología y Neurociencias lo scorso 12 febbraio 2020, e dato l’interesse suscitato tra colleghi psicologi e altre persone interessate alla psicologia, ho deciso di scrivere questo libro in cui viene affrontato l’argomento della prospettiva psicologica in tempi di pandemia.

Nonostante le informazioni sulle crisi sanitarie come il COVID-19 siano molto recenti, e in alcuni casi “mutevoli”, presenterò il lavoro basato su dati attuali e soprattutto su pubblicazioni di natura scientifica, che includeranno anche dichiarazioni di diversi esperti raccolti attraverso i mezzi di comunicazione debitamente citati.

Un libro accessibile a tutti coloro che vogliano approfondire gli aspetti psicologici di un fenomeno di massa in tempi di crisi sanitaria com’è il COVID-19.

Dedicato ai miei genitori


Capitolo 1. Introduzione al COVID-19

Si può parlare di crisi personale o sociale. Nel primo caso si verificano alcune circostanze interne o esterne che cambiano il modo in cui un individuo percepisce il suo presente, futuro e persino passato, mettendo in discussione il suo ruolo nella vita, o tutto ciò che fino a quel momento credeva e pensava. Questo può verificarsi quando un membro della famiglia, specialmente se vicino, muore o subisce un qualche tipo di incidente con conseguenze sulla salute o sull’autonomia della persona, ma può succedere di andare in crisi anche a causa di aspetti emotivi come la rottura sentimentale con il nostro partner o il divorzio dei genitori durante l’adolescenza. In questi casi, da un punto di vista psicologico, si può parlare di crisi causate da circostanze molto diverse che incidono sull’individuo. Ci sono poi le crisi sociali, come nel caso delle crisi umanitarie in cui milioni di persone abbandonano tutto ciò che hanno e iniziano la fuga verso un futuro incerto. Allo stesso modo possono verificarsi anche crisi economiche in cui migliaia di persone possono perdere il lavoro dall’oggi al domani e con esso il modo di portare reddito a casa, mettendo a rischio la propria sopravvivenza e quella dei propri cari (@NTN24ve, 2018) (vedi Illustrazione 1).

Illustrazione 1. Tweet crisi umanitarie1


Tra questi tipi di crisi ci sono anche quelle legate alla salute, in cui una malattia può mettere a rischio la vita delle persone, di qualcuno che nei giorni precedenti stava bene. In questa categoria si possono includere le pandemie, comprese le emergenze sanitarie come il COVID-19, una malattia che ha mobilitato migliaia di medici e personale sanitario che combattono quotidianamente per mitigare gli effetti del virus, anche a rischio della loro stessa vita.

Anche se a volte ciò a cui i media danno più visibilità sono il numero di persone colpite e i decessi, informazioni offerte dai vari governi e raccolte dall’OMS sul loro sito web.

Il Johns Hopkins University Science and Engineering Center (USA) riporta il numero di casi di persone colpite, decedute e guarite, sia numericamente che visivamente, a livello globale e per ciascun paese (Johns Hopkins CSSE, 2020).

Al 7 marzo 2020, che è quando inizia questo libro, il numero di casi in tutto il mondo è 102.470, distribuito tra 101 paesi, di cui la Cina conta 80.651 contagi, seguita dalla Corea del Sud con 7.041 e l’Iran con 4.747; La Spagna è in decima posizione con 401 casi (vedi Illustrazione 2 2).


Illustrazione 2 Casi di contagi al 7 marzo 2020


Allo stesso modo, attraverso lo stesso portale è stato riferito che il numero di decessi finora è stato di 3.491 persone, mentre coloro che hanno superato la malattia e sono guariti sono 57.462.

Aggiornando i dati anteriori al 19 marzo 2020, il numero di persone colpite è di 218.827, distribuite in 160 paesi, con un numero di morti pari a 8.811 (vedi Illustrazione 3).


Illustrazione 3 Casi di contagiati al 19 marzo 2020


Se ci concentriamo sulle tendenze di ricerca di Google (Google Trend 2020) sul COVID-19, termine designato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità l‘11 febbraio 2020 per riferirsi al nuovo Coronavirus emerso in una provincia della Cina e il cui primo caso di contagio è stato segnalato il 31 dicembre 2019 (OMS, 2019), si può osservare come le ricerche di questo termine sono progressivamente aumentate in tutto il mondo, raddoppiando tra l‘11 e il 12 febbraio; tra il 23 e il 24 febbraio; e dal 1 al 2 marzo; una riduzione è stata osservata solamente tra il 28 febbraio e il 1 marzo (vedi Errore. L’origine riferimento non è stata trovata.).


Illustrazione 4 Evoluzione del termine di ricerca


Per quanto riguarda l’interesse generato nei singoli Paesi, è possibile vedere come quello che ha generato il maggior numero di ricerche nell’ultimo mese sia Singapore, seguito da Islanda, Cina e Hong Kong; gli Stati Uniti si trovano in ventesima posizione, mentre la Spagna occupa la posizione numero quarantotto rispetto ai sessantacinque paesi che compongono il risultato di Google, con l’ultima posizione occupata dalla Turchia (vedi Illustrazione 5).


Illustrazione 5 Ricerca per Paesi


Come si può vedere, non esiste una corrispondenza diretta tra i Paesi con il maggior numero di contagi e la preoccupazione che ha generato tra la popolazione. Ciò può essere dovuto al fatto che ci sono altri fattori da tenere in considerazione, come l’allarmismo generato in determinate popolazioni o il fatto che in quel paese vengano utilizzati mezzi diversi da Google per consultare questo tipo di informazioni, ad esempio in alcuni Paesi asiatici dove il motore di ricerca più utilizzato è Baidu.

Va anche notato che il termine COVID-19 è sorto dopo che era stato chiamato “nuovo coronavirus 2019” (n-CoV), noto anche come “virus cinese” o “virus di Wuhan” (il nome della provincia cinese dove è iniziato il contagio), che è il motivo per cui alcuni utenti continuano a fare ricerche utilizzando i vecchi termini.

Inoltre, è possibile utilizzare il termine coronavirus, ovvero la famiglia di questo virus, o semplicemente virus. Pertanto, la panoramica dei dati risulta incompleta quando viene tenuto in considerazione solo il termine COVID-19, il che potrebbe spiegare la differenza mostrata tra l’ordine dei paesi in termini di numero di casi di decessi e l’ordine di interesse mostrato dalle ricerche di Google.

Quindi, se eseguiamo la ricerca precedente, ma includendo anche i termini COVID, Virus e Coronavirus, possiamo vedere come la preoccupazione per questo argomento inizia il 20 gennaio 2020 e che il termine COVID, o COVID-19, che è la denominazione ufficiale, è poco usato per cercare informazioni a questo proposito, essendo superato di molto dall’uso del termine Virus e Coronavirus (vedi Illustrazione 6).

 

Illustrazione 6 Termini di Google relazionati con il COVID


Nel grafico precedente si può vedere come ci sia stato un momento iniziale di interesse in termini sia di Virus sia di Coronavirus tra il 20 e il 31 gennaio, con una perdita di interesse progressiva nelle ricerche fino al 20 febbraio, dove l’interesse aumenta esponenzialmente col termine Coronavirus.

Concentrandoci su quest’ultimo termine, il paese che ha effettuato più ricerche su Google è stata l’Italia, seguita da Singapore e Svizzera; la Spagna occupa il quinto posto e gli Stati Uniti il diciannovesimo dei 64 paesi per i quali sono disponibili i dati (vedi Illustrazione 7).


Illustrazione 7. Ricerca del termine Coronavirus per paesi


Dati che in questo caso corrispondono al numero di casi di persone contagiate in aumento, ad eccezione dell’Irlanda, dove si potrebbe parlare di un allarmismo sociale al di sopra dei dati reali dei casi nel periodo preso in considerazione.

La denominazione COVID-19

Uno dei problemi degli psicologi sociali è raggiungere la fedeltà dei clienti nei confronti di un marchio, essendo questo quello che utilizziamo per identificare una determinata persona, prodotto o azienda. Normalmente quando pensiamo ad un’azienda come Coca-Cola, McDonald o Ikea, di solito lo facciamo in relazione ai prodotti che vendono. Se guardiamo altri marchi come UPS, Iberia o Microsoft, ci riferiamo ai servizi che offrono.

Qualcosa che influenzerà in modo decisivo l’acquisizione del prodotto o servizio in questione, non solo sulla base dei nostri criteri, ma anche sull’influenza dell’opinione degli altri e dei media attraverso la pubblicità.

Allo stesso modo, quando pensiamo a Stephen Hawking, Barack Obama o Rafael Nadal non ci riferiamo più a prodotti o servizi, bensì al Personal Branding che hanno sviluppato grazie rispettivamente alla loro carriera scientifica, politica o sportiva, cioè associamo gli aspetti emotivi al marchio, che può essere collegato a una persona, un’azienda e persino una località.

La stessa cosa accade quando si deve dare un nome alle “sventure”, proprio come accade quando si tratta di designare i cicloni tropicali che ogni anno colpiscono gran parte dei Caraibi e del Nord America.

Come riportato dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale (World Meteorological Organization, 2020), questi nomi seguono elenchi prestabiliti che ruotano, lasciando nella memoria di molti gli effetti dell’uragano Katrina nel 2005 o di Ike nel 2008.

In effetti, in linea di principio questi nomi non hanno alcuna relazione con la data in cui si verificano, la violenza o le aree più colpite, tra questi ci sono nomi inglesi o spagnoli (ad esempio, Barry o Gonzalo), maschili o femminili (ad esempio, Lorenzo o Laura). Ma il nome dei cicloni tropicali ha qualche impatto sulla popolazione?

A questa domanda si è cercato di dare una risposta attraverso un’indagine condotta dal Dipartimento di Amministrazione e Aziende; in collaborazione con il Dipartimento di Psicologia, il Communications Research Institute e la University of Illinois Research Survey of Women and Gender Research Laboratory; insieme al Dipartimento di Statistica dell’Arizona State University (USA) (Jung, Shavitt, Viswanathan, & Hilbe, 2014).

Lo studio ha analizzato le conseguenze climatiche degli uragani negli Stati Uniti negli ultimi sei decenni, differenziandoli secondo i nomi maschili e femminili, scoprendo innanzitutto che quelli che avevano nomi femminili erano stati quelli che avevano provocato maggiori effetti distruttivi e morti tra la popolazione.

Bisogna ricordare che l’elenco dei nomi è prefissato e che la loro assegnazione è consecutiva, quindi non esiste a priori alcuna relazione tra il genere del nome e la sua violenza. La cosa più sorprendente dello studio è che un elenco di nomi di uragani, 5 maschili e 5 femminili, è stato sottoposto a 364 partecipanti, perché valutassero usando una scala di tipo Likert da 1 a 7 in che misura consideravano violenti tutti gli uragani nell’elenco.

I risultati mostrarono che gli uragani di nome maschile tendevano a essere classificati come più distruttivi rispetto agli uragani di nome femminile, indipendentemente dal genere dei partecipanti.

Questo ha permesso di capire perché a volte, di fronte agli avvertimenti delle autorità, si presta più o meno attenzione alla prevenzione, ad esempio semplicemente perché il nome assegnato è maschile o femminile.

D’altra parte, i nomi delle malattie in ambito sanitario di solito sono indicati con acronimi correlati ad alcune caratteristiche identificative del luogo, dei sintomi o delle conseguenze.

Così, all’interno della famiglia dei coronavirus ci sono stati in precedenza vari focolai, come il SARS-CoV che è sorto in Cina nel 2002, le cui iniziali corrispondono al Coronavirus della sindrome respiratoria acuta severa e che fa riferimento ai suoi sintomi; il MERS-CoV emerso in Arabia Saudita nel 2012 e le cui iniziali in inglese si riferiscono alla sindrome respiratoria mediorientale, in cui si fa riferimento ai sintomi e al luogo; e il COVID-19, emerso nel 2019 in Cina, i cui acronimi in inglese si riferiscono alla malattia del Coronavirus del 2019, senza fornire alcuna indicazione rispetto ai sintomi o alla località in cui è sorto.

Bisogna tenere presente che il termine COVID-19 non è stato il primo a venire utilizzato per questa malattia, bensì è stato un cambiamento introdotto quasi due mesi dopo il primo caso segnalato all’OMS, che ha portato alcuni ad affermare che le motivazioni per modificarlo incorporando un nome “ufficiale” sarebbero potute scaturire dalla volontà di evitare le conseguenze economiche negative dell’associazione di un tipo di malattia a una regione o una popolazione (@radioyskl, 2020) (vedi Illustrazione 8).


Illustrazione 8. Tweet Denominazione di COVID-192


In questo modo, l’intenzione sarebbe quella di eliminare i nomi di “virus cinese” o “virus Wuhan”, termini che puntano direttamente al focolaio d’origine dell’infezione.

Una deferenza verso la Cina che alcuni operatori sanitari denunciano, per non aver avuto la stessa considerazione con altre popolazioni, come nel caso della sindrome respiratoria mediorientale Coronavirus.

Come è stato mostrato nei paragrafi precedenti, nonostante sia stato dato il nome ufficiale di COVID-19, la popolazione ha continuato a usare i nomi di Virus e in particolare di Coronavirus per informarsi sui sintomi, sulle misure di prevenzione o l’estensione. della malattia, e sebbene sia ancora presto per capire il motivo per cui il nome ufficiale abbia “fallito”, si deve tenere presente che per creare un nuovo marchio e far aderire le persone ad esso, è necessario tenere in conto una serie di variabili, come è stato analizzato dalla Taylor University (Malesia) (Poon, 2016) attraverso un’indagine in cui si sono provate a capire le motivazioni del successo di alcuni marchi rispetto ad altri. Per l’indagine è stato selezionato un elenco di cinquanta prodotti di uso comune più venduti dalle due principali aziende produttrici di tali prodotti, per verificare gli effetti del marchio.

Dopo aver analizzato i messaggi, gli opuscoli e la pubblicità diffusi dai media e dalle reti su questi due marchi, si è scoperto, applicando l’analisi testuale e il metodo interpretativo, che questi marchi si basavano su due pilastri principali per mantenere la fidelizzazione del cliente.

Il primo è la capacità di generare emozioni positive; il secondo quello dell’estetica dell’onestà, vale a dire, mostrare che il prodotto serva effettivamente per fare ciò che indica, mantenendo anche gli standard di qualità pubblicati.

A questo proposito, un sondaggio di WIN / Gallup International (O.N.U., 2014), indica che l’OMS insieme all’UNICEF sono le agenzie internazionali più quotate in tutto il mondo, dimostrando come il 72% degli intervistati abbia una buona opinione di questi organismi.

Quindi ci si aspetterebbe che i cittadini usassero il termine di ricerca utilizzato dall’OMS. Tuttavia, bisogna tenere presente che l’annuncio del nome è avvenuto l’11 febbraio (vedi Illustrazione 8), mentre la preoccupazione mondiale è iniziata quasi un mese prima, il 20 gennaio, il che ha dato una certa tendenza di ricerca tra gli utenti che continuano a utilizzare i termini Virus o Coronavirus (@CSIC, 2020) (vedi Illustrazione 9).


Illustrazione 9. Tweet Immagine COVID.193


L’adozione delle misure sanitarie

Uno dei fenomeni più difficili per i cittadini riguarda l’adozione di abitudini salutari che richiedono del tempo per essere intese, comprese e assunte.

A differenza di altri fenomeni come le mode in grado di mobilitare la popolazione, quando si tratta di salute le autorità hanno talvolta un successo relativo in termini di campagne di sensibilizzazione, tanto che tali campagne, orientate a raccomandare di assumere abitudini salutari, di solito sono accompagnate da divieti e persino sanzioni per coloro che non rispettano le disposizioni.

Nonostante ciò, la popolazione fa fatica a vedere i “benefici” a breve termine e con essi il loro “interesse” e la loro motivazione per l’adozione di nuove abitudini sono ridotti se non a volte non messe in pratica, non rispettando così le raccomandazioni delle autorità.

Sebbene la salute sia un aspetto che preoccupa la società, per ciò che riguarda la prevenzione essa non è sempre compresa e accettata allo stesso modo, soprattutto quando si tratta di adottare alcuni comportamenti contrari alla “consuetudine” (@MinInteriorAR, 2020) (vedi illustrazione 10).


illustrazione 10 Tweet Divieto di abitudini4


Nel caso del COVID-19, alla popolazione è stato chiesto di “abbandonare” alcune usanze e di adottarne di nuove, un aspetto che, andando contro la tendenza della “routine”, ha fatto sì che molti abbiano trovato difficile all’inizio adottare le misure raccomandate.

Questo perché, a volte, nonostante le indicazioni mediche, la popolazione non pensa ai rischi di determinati comportamenti per la propria salute, un aspetto che è già stato osservato in precedenza, come nel caso dell’abbronzatura artificiale con i raggi UVA, che in alcuni paesi è una delle attività di bellezza che è aumentata maggiormente negli ultimi anni.

 

In alcuni luoghi, essere abbronzati è un simbolo dello status sociale o del tempo libero, quindi ad esempio uno può tornare dalle vacanze e sfoggiare un’abbronzatura invidiabile dopo aver trascorso alcuni giorni in spiaggia, mentre il resto dell’ufficio presenta una carnagione pallida, per non avere avuto la fortuna di poter andare in ferie.

Al contrario, in altri luoghi, essere scuri di pelle è simbolo di non godere di un elevato status sociale, dal momento che il sole brucia la pelle dei contadini dandogli quel colore caratteristico, mentre altri lavori meno pesanti non lasciano “impronta” nel corpo, diventando così un simbolo di differenziazione dello status economico del consumatore, tra coloro che possono “permetterselo” e quelli che non possono.

Nella società occidentale di oggi predomina il primo approccio, cioè le persone si sentono bene con loro stesse quando esibiscono un’abbronzatura, che è qualcosa che richiede tempo e in alcuni casi denaro.

Per rispondere a questa richiesta, sono emersi una serie di centri che dispongono di lampade UVA che producono lo stesso effetto dell’abbronzatura sulla pelle, dopo una o più sessioni di esposizione.

Questo vuol dire che con questo sistema a raggi UVA si ottiene lo stesso aspetto di quando si va in vacanza e ci si gode un momento di relax sulla spiaggia sdraiati al sole.

Pertanto, a livello sociale, è possibile ottenere i “vantaggi” legati ad uno status economico più elevato, semplicemente trascorrendo alcuni minuti all’interno di questi dispositivi.

Nonostante la divulgazione di questo sistema, negli ultimi anni si son accumulate una serie di ricerche mediche che hanno trovato associazioni tra l’uso eccessivo di raggi UVA con la comparsa di cancro della pelle, cioè l’uso frequente e soprattutto l’abuso da parte di una parte degli utenti di questo tipo di abbronzatura può causare malattie della pelle, mettendo volontariamente a rischio la salute (@adgs125, 2019) (vedi illustrazione 11).


illustrazione 11 Tweet Relazione tra raggi UV e cancro5


A questo proposito, e per verificare i rischi psicologici derivati dall’uso dei raggi UVA, è stata condotta un’indagine realizzata dal Dipartimento di Dermatologia della Warren Alpert School of Medicine; il dipartimento di epidemiologia, scuola di sanità pubblica del Providence VA Medical Center; il Dipartimento di Psichiatria e comportamento umano della Warren Alpert School of Medicine della Brown University; insieme alla Divisione Medicina di Rete del Dipartimento di Medicina del Brighamand Hospital; il Dipartimento di Nutrizione e il Dipartimento di Epidemiologia presso la Harvard School of Public Health; insieme alla divisione di medicina dell’adolescente del Boston Children’s Hospital; il Dipartimento di Dermatologia del Rhode Island Hospital (USA) insieme al Dipartimento di Scienze della salute occupazionale e ambientale della Facoltà di sanità pubblica dell’Università di Pechino (Cina) (Li et al., 2017) .

67.910 donne di età compresa tra 25 e 35 anni hanno partecipato allo studio, rispondendo a domande sulla frequenza di utilizzo dei solarium a raggi UVA. Allo stesso modo, e per sapere se c’era una relazione tra l’uso dei raggi UVA con altre psicopatologie, è stato loro sottoposta la scala delle tossicodipendenze alimentari di Yale (Flint et al., 2014), per rilevare la presenza di sintomi associati a disturbi alimentari; inoltre, è stata presa in considerazione la presenza o l’assenza di depressione nella storia clinica delle partecipanti.

I risultati mostrano una relazione significativa tra la presenza di depressione e un maggiore uso dei raggi UVA, trovando inoltre una relazione significativa tra l’abuso dei raggi UVA e la presenza di sintomi associati ai disturbi alimentari, in particolare con l’anoressia.

Come qualsiasi altra attività, l’uso di questo tipo di servizi può essere considerato normale, tranne nel caso in cui si “perda il controllo” e diventi una dipendenza, cioè è fine a sé stesso e non viene fatto per i benefici che questo può portare. Questo è ciò che viene chiamato dipendenza comportamentale da abbronzatura, o tanoressia.

In questo caso, la sintomatologia depressiva sembra svolgere un ruolo fondamentale nella formazione o nel mantenimento di questa dipendenza dai raggi UVA, come se la persona stesse cercando di “compensare” il proprio stato d’animo dando un’immagine “migliore” di sé stessa agli altri.

Ricerche precedenti avevano riportato relazioni significative tra i disturbi alimentari e i sintomi depressivi, ma in questo caso la relazione è mediata da una dipendenza comportamentale come l’abuso dei raggi UVA.

Secondo le conclusioni dello studio è quindi necessario stare attenti a queste persone che abusano dei raggi UVA perché possono far parte di soggetti affetti da una sintomatologia depressiva e che soffrono di anoressia.

Nonostante questi risultati e i suddetti problemi di salute associati al cancro della pelle, è difficile per le persone abbandonare questo tipo di abitudini, poiché dà un beneficio a breve termine come il colore dell’abbronzatura, sottostimando i danni a lungo termine sulla salute.

Un atteggiamento che si riscontra anche in altre abitudini malsane o che comportano danni a lungo termine, in cui il consumatore “assume” il rischio incentrato sul profitto a breve termine, nonostante gli avvertimenti delle autorità. Così ad esempio da alcuni anni i governi di tutto il mondo stanno compiendo sforzi per fermare l’uso del tabacco. Inoltre, le autorità hanno dovuto “combattere” contro le abitudini mostrate attraverso i film e i media, che l’hanno resa un’abitudine socialmente accettata negli ultimi decenni, nonostante i suoi effetti dannosi sulla salute di chi lo consuma e le persone che li circondano, noti come fumatori passivi (@CNPT_E, 2017) (vedi illustrazione 12).


illustrazione 12 Tweet Divieto di pubblicità sul tabacco6


Eppure, le misure adottate sono state piuttosto dissuasive, ponendo ogni tipo di ostacolo al suo consumo, senza vietarlo, ma limitandolo a determinate aree appositamente progettate per esso, aumentando il prezzo dei pacchetti o includendo immagini dei loro effetti negativi sulla salute.

Nonostante quanto sopra, alcuni governi hanno escogitato un ulteriore passo avanti, impiegando gli stessi meccanismi che per anni hanno contribuito a diffondere e incoraggiare l’uso del tabacco: la pubblicità televisiva. Ma le pubblicità antitabacco sono efficaci?

Questo è ciò che si è tentato di scoprire con una ricerca condotta dal Dipartimento dell’Istruzione dell’Università Nazionale di Seoul e dal Dipartimento del TESOL, l’Università di Studi Stranieri di Hankuk (Corea del Sud); insieme al College of Nursing and Health Innovation dell’Arizona State University; e il Dipartimento di Psicologia della Jesuit University of Wheeling (USA) (Wilson et al., 2017) .

Allo studio hanno partecipato 58 studenti universitari, che sono stati divisi in due gruppi, in cui il primo avrebbe guardato due pubblicità antifumo incentrate sulle emozioni; mentre l’altro avrebbe visualizzato due annunci antitabacco con informazioni logiche senza che venisse affrontato l’aspetto emotivo.

Tutti i partecipanti sono stati sottoposti a tre test prima e dopo la visualizzazione, uno relativo ai processi di cambiamento, un altro sui sintomi depressivi e il terzo sull’autostima.

I risultati mostrano che non ci sono differenze significative prima e dopo la visualizzazione degli annunci, né per l’annuncio emotivo né per quello logico, in nessuna delle variabili valutate, cioè, gli studenti sembrano prestare attenzione alle informazioni offerte sul danno dell’uso del tabacco.

Tra i limiti dello studio c’è la selezione della popolazione, è vero che questa pubblicità ha lo scopo di impedire ai giovani di iniziare questo consumo, ma l’età in cui si inizia a fumare in molti paesi è di circa 14 anni, quindi dovrebbe essere quella l’età di selezione dei partecipanti e non quella degli studenti universitari.

Nonostante quanto sopra, va tenuto presente che l’effetto della pubblicità si basa principalmente sulla ripetizione dell’emissione degli annunci, tanto che si arriva addirittura ad impararlo a memoria, per cui la visualizzazione singola di due pubblicità spiegherebbe l’effetto insufficiente di questo sui comportamenti nei confronti del tabacco, dell’autostima o dei sintomi depressivi.

Nel caso specifico del COVID-19, e con sorpresa di alcuni utenti, è stata adottata una misura senza precedenti in cui la pubblicità relativa al gioco è stata vietata.

L’idea è che, poiché i cittadini trascorrono molto tempo confinati a casa loro, i giochi per computer non “aggancino” questi utenti, poiché potrebbero portarli non solo alla dipendenza, ma anche alla rovina economica nel caso in cui si trattasse di gioco d’azzardo in cui la posta in gioco fosse monetaria.

Sebbene possa non sembrare una priorità per la popolazione adottare questa misura, considerando che ci sono altre preoccupazioni in tempi di crisi sanitaria, il governo l’ha assunta al fine di prevenire un aumento dei casi di dipendenza dal gioco, ma soprattutto per prevenire le conseguenze economiche negative che ciò può comportare, non solo in termini di stato d’animo, potendo portare ad una maggior depressione, ma anche perché tale rovina può portare al suicidio.

Per questo è importante evitare le dipendenze comportamentali, soprattutto nelle prime fasi, poiché poi risulta difficile sganciarsene, vale a dire che, passato il confine, il nuovo giocatore continuerà a giocare. Da qui l’importanza di adottare questa misura per la prevenzione degli aspetti negativi sulla salute fisica e mentale di questi giocatori potenziali (@consumogob, 2020) (vedi illustrazione 13).


illustrazione 13 Tweet divieto di pubblicità del gioco7


Nonostante si possa pensare che questi tipi di misure possano essere “esagerate” o fuori luogo, la realtà è che il nostro comportamento economico è governato da una moltitudine di variabili interne ed esterne, quindi quando si pensa all’acquisto, di solito lo si fa rispetto al prezzo delle cose. Ma in che misura siamo disposti a spendere per acquistare qualcosa?

La psicologia del consumatore è responsabile di questa e di altre domande simili, un ramo di studio che analizza il comportamento della persona davanti ad un compito di decisione economica più o meno complesso.

Il prototipo di queste indagini è il gioco d’azzardo, ovvero una situazione in cui il denaro può essere vinto o perso in base alle probabilità che il ricercatore manipola.

In questo modo si è scoperto che ci sono persone più conservatrici nei loro giudizi di valore mentre altri assumono più rischi; È stato anche visto come queste variabili personali vengono modificate quando si è soggetti al consumo temporaneo o continuato di determinate sostanze che creano dipendenza.

Con le basi di questo tipo di ricerca, vengono analizzate altre variabili che possono essere coinvolte nell’assumere un costo economico maggiore o minore, come potrebbe essere l’obesità. Ma esistono differenze in ciò che siamo disposti a pagare a seconda che si sia in sovrappeso o no?

Questo è ciò che si è tentato di scoprire con un’indagine condotta dall’Unità di economia agroalimentare, Centro per la ricerca e la tecnologia agroalimentare di Aragona, Istituto agroalimentare di Aragona, Università di Saragozza (Spagna) insieme all’area di Economia, Agricoltura e Food, Michigan State University (USA) UU.) (de-Magistris, López-Galán, & Caputo, 2016) .

Lo studio ha coinvolto 309 adulti, separati in quattro gruppi a seconda che fossero sovrappeso o meno, considerando tali coloro che avevano un indice di massa corporea maggiore ai 30 chili tra l’altezza al quadrato e a seconda che accettassero o meno la propria immagine nello specchio per il quale veniva usato il questionario standardizzato Body Image State Scale (Cash, Fleming, Alindogan, Steadman, & Whitehead, 2002). In base a questi standard sono stati formati quattro gruppi: non in sovrappeso con l’accettazione della propria immagine; non in sovrappeso senza l’accettazione della propria immagine; sovrappeso con accettazione della propria immagine e sovrappeso senza l’accettazione della propria immagine.

1Il tweet del quotidiano venezuelano “NTN24 Venezuela” titola: “il Venezuela entra nella lista dei paesi con crisi umanitarie capeggiata dall’Africa”, mostrando poi un’immagine il cui titolo dice “Il Venezuela tra i Paesi con le crisi umanitarie più trascurate del mondo”. Nell’elenco, incontriamo nell’ordine la Repubblica Democratica del Congo, il Sud Sudan, la Repubblica Centrafricana, il Burundi, l’Etiopia, la Palestina, il Myanmar, lo Yemen, il Venezuela e la Nigeria.
2Radio YSKL riporta la notizia che il direttore dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha annunciato che il nome di coronavirus è stato cambiato con COVID-19, un’abbreviazione della malattia che ha causato la morte di più di 1000 persone, e che il primo vaccino potrebbe essere pronto nel giro di 18 mesi.
3Il nuovo #Coronavirus si chiama SARS-COV-2 e la malattia che provoca è il COVID-19 (Corona Virus Disease 19). Nell’immagine, il virus della famiglia Coronaviridae, alla quale appartiene il nuovo coronavirus.
4Il Ministero dell’Interno Argentino invita a prendersi cura della propria salute e quella della propria famiglia ricordando di non condividere il mate, le posate e altri oggetti di uso personale.
5“I raggi Uva causano il cancro”.
6“Il empaquetadoneutro” elimina la pubblicità del tabacco è aiuterà a ridurre il consumo di tabacco in Spagna.”
7Il Ministro del Consumo Spagnolo annuncia che è stato registrato un consumo crescente del gioco d’azzardo online e per questo è stata proibita la pubblicità del gioco in qualunque canale, tranne che dall’1 alle 5 del mattino.
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